Ti sei mai dato il benvenuto? Il benvenuto alla vita, al mondo, a te stesso, al tuo mondo di relazioni? Un’approvazione, un Sì alla tua esistenza, alla tua persona?
E’ brutto non essere accolti in un ambiente: nessuno che si accorge di te, che ti saluta, che dimostra un minimo di simpatia o di curiosità nei tuoi riguardi. Peggio ancora se quel nessuno sei proprio tu.
Essere ancora sul gommone o sul battello della Guardia Costiera. Nessuno ti conosce, nessuno ti crede. Qualcuno si occupa di te perché è di turno, ma tu o gli altri siete la stessa cosa. Terrorista? Scafista? Faccendiere? Ladro? Rubaposti di lavoro? Cercatore di sussidi? Vagabondo?
C’è solo la relazione tra le tue impronte digitali e l’apparecchiatura per rilevarle. Il fiato che tu emetti e la mascherina che protegge lui dal contagio.
E’ faticoso vivere in questa relazione con se stessi quando sono contemporaneamente il poliziotto sospettoso di me e il profugo senza giustificazioni, il giudice e l’imputato.
Il profugo fugge dalla sua patria, dal paese, dal clan per salvarsi dalle bombe, dai massacri, dai crolli della propria casa, dalla disoccupazione, dalla fame. Spera di mandar qualcosa alla propria famiglia. Io, fuggo da me stesso, dai miei stati d’animo, dalle delusioni che mi do, dall’oscurità che grava dentro di me, dalla sfiducia. E non c’è un Mediterraneo o una penisola balcanica abbastanza promettenti per fuggire da me e mettermi al sicuro. Ancora qui davanti a me con il pollice alzato a valutare la valenza delle mie impronte digitali. E sono solo.
Valgo? Non valgo? Merito credibilità? Ho tra le mie carte da gioco qualche carico vincente?
Sentirsi così è una immensa sofferenza.
Sentirsi così non è una colpa: è una grande stanchezza.
Vuol dire che hai incontrato molte prove, che ti è mancato sostegno, che il temperamento e fattori esterni hanno evidenziato i tuoi limiti e lasciato in ombra le buone qualità.
I limiti, che sono il nostro contenitore, ci delineano e ci caratterizzano, vengono visti invece come un carcere infamante, come la maledizione della nostra vita. Vediamo solo loro e la loro vista ci impedisce di vedere le qualità, i doni che abbiamo ricevuto. Doni che spesso sono frutto e conquista delle nostre stesse carenze e ferite.
Anche il Monte Bianco ha i suoi limiti, altrimenti sarebbe l’Himalaya. Ma anche l’Himalaya ha i suoi limiti altrimenti sarebbe il Cielo. “Muore anche il mare”, conclude Garcia Lorca ascoltando la spiaggia. Tutto ciò non impedisce, anzi, consente al Monte Bianco, all’Himalaya e al mare di esistere e di essere se stessi. Così pure all’ultima collinetta che ingentilisce il paesaggio e fa brutta figura di fronte a loro. Anche lei può darsi il benvenuto. Anch’io, anche tu, possiamo darci un autobenvenuto, con un personale abbraccio di commozione e di riconoscenza, al proprio corpo che con i suoi dolori e malanni ha somatizzato, portato le conseguenze di ansie, delusioni, contrarietà incontrate. E’ la vittima fedele e non la causa o il colpevole. Un abbraccio a tutta la tua persona con le sue doti, fragilità, il suo ingegno e le sue nebbie, con la sua determinazione e le sue incertezze.
La stessa persona di Cristo il Risorto, iniziata col Bambin Gesù, splende folgorante proprio dalle sue cinque principali ferite.
Non me le vado a cercare, ma so che, in ogni caso, recheranno doni.
Che tu sia il benvenuto a te stesso! Sussurrati il tuo Sì! Accogliti così come sei! Con te il mondo è più ricco anche se non lo sai.
Almeno per il 2016. Almeno per un mese o una settimana o un attimo del 2016.
Lascia una recensione