Una trentina è stata eletta alla guida dell’associazione “European Platform of Women Scientists” (Piattaforma Europea delle Donne Scienziate). Lucia Martinelli, biologa che dal 2011 svolge la sua attività di ricerca al Muse – Museo delle Scienze di Trento, ha ricevuto l’incarico il 29 giugno, e per due anni sarà presidente di un network che dal 2005 unisce circa 15mila scienziate provenienti da tutta Europa.
Di cosa si occupa la Piattaforma Europea delle Donne Scienziate? “Il nostro scopo è dare voce alle donne che si occupano di scienza, perché il loro punto di vista possa contribuire al dibattito sulle politiche europee di ricerca”, spiega Martinelli, che sottolinea come in questi anni l’Unione Europea si stia impegnando sempre di più per facilitare l’ingresso – e la permanenza – delle donne nel mondo della ricerca. “Un documento prodotto dall’Unione Europea, She Figures, mostra come ultimamente stiano aumentando le ragazze che intraprendono carriere scientifiche – aggiunge -. Bisogna però fare alcune distinzioni in base alla disciplina. Mentre a ingegneria e a computer science le donne sono meno rappresentate, a biologia sono già di più”. La differenza, poi, permane e si acuisce con l’ingresso delle scienziate nel mondo del lavoro. Non basta promuovere, come sta facendo l’Unione Europea, la partecipazione delle ragazze nei corsi di laurea scientifici: anche se le donne si laureano più degli uomini (e con voti migliori), dopo la laurea sono spesso relegate in posizioni precarie, barcamenandosi tra borse di studio e contratti a termine. “Il caso italiano è lampante – spiega Martinelli – perché si è visto che nelle posizioni di alto livello abbiamo una proporzione di donne che oscilla tra il 20 e il 30 per cento”.
Le donne “ai piani alti”? Delle “mosche bianche”. Anche se ultimamente il mondo dell’università e della ricerca ha esultato per la nomina di due nuove rettrici, Alessandra Petrucci a Firenze e Daniela Mapelli a Padova, Martinelli sottolinea come in realtà questa contentezza non dovrebbe distoglierci da un dato di fatto: che ancora oggi le donne, a quei livelli, sono delle “mosche bianche”. “Con le chiusure dovute al Covid-19, poi – prosegue – si è visto come le donne abbiano avuto un doppio carico di lavoro e, di conseguenza, meno tempo per pubblicare articoli scientifici, importantissimi per la carriera di una ricercatrice”.
L’esperienza di Lucia Martinelli. I tempi sono sicuramente cambiati da quando Lucia Martinelli ha intrapreso il suo percorso accademico, studiando prima Biologia all’Università di Bologna e cominciando poi un dottorato di ricerca in genetica agraria, un campo considerato molto più “maschile”. Anche quando un campo viene considerato più “femminile” – come nel caso di Biologia – non è detto che la discriminazione non esista. “Uno degli sbocchi principali, studiando Biologia, era l’insegnamento – precisa Martinelli – che, soprattutto in passato, era ritenuta una delle professioni che più facilitavano la conciliazione tra famiglia e lavoro. Bisogna vedere, infatti, dove vanno a finire le biologhe: nei laboratori oppure no?”.
La ricercatrice trentina ora a capo della “European Platform of Women Scientists” ha girato il mondo – Olanda, California e tante città italiane – per poi rientrare in Trentino, a San Michele all’Adige, dove nel 1988 è stato fondato il laboratorio di biotecnologie.
“Finché si è giovani non si percepisce molto il soffitto di cristallo – commenta -. Quando si comincia a crescere nella carriera, però, comincia a dare molto fastidio, anche se nel mio percorso ci sono stati anche degli episodi buffi. Mi ricordo ad esempio di quando, nel laboratorio di San Michele all’Adige, dove ho lavorato dal 1988 al 2011, arrivava un rappresentante che doveva vendere la strumentazione e si rivolgeva al mio tecnico. Lui si divertiva, lo lasciava parlare e poi diceva, indicandomi: ‘Non deve dirlo a me, ma al mio capo’”. Martinelli ricorda anche “un paginone” che un giornale locale aveva dedicato alle donne nella ricerca in occasione dell’8 marzo, in cui ci si scagliava contro la fatica che fanno le ricercatrici per affermarsi professionalmente. “Voltando pagina, invece, si parlava sempre di progetti”, aggiunge. “Progetti belli, meravigliosi. Ma tutti di uomini”.
“Tre aggiustamenti” per i progetti europei. In questo momento, come ci spiega Lucia Martinelli, l’Unione Europea ha aggiunto tre vincoli per le istituzioni che vogliono accedere ai suoi bandi. “Sono basati su altrettante politiche”, precisa. “Il primo vincolo – o aggiustamento, come lo chiama l’Unione Europea – è considerare la presenza numerica delle donne. Le istituzioni devono poi adempiere a certi cambiamenti strutturali che favoriscano le donne, prestando per esempio attenzione alle progressioni di carriera e alla conciliazione tra vita personale e lavoro”.
Il terzo vincolo, invece, chiama in causa la ricerca scientifica. “La scienza non è mai neutra – spiega Martinelli -. È possibile, quindi, adottare anche in questo ambito un approccio di genere. Un esempio? Pensiamo alla medicina, dove la sperimentazione è basata su modelli maschili. Si è pensato erroneamente che la biologia maschile fosse meno variabile di quella femminile, che è ciclica; si sa infatti che, per gli esperimenti, più il campione è omogeneo, meglio è. Cosa ha comportato questo sbaglio? L’esempio che si fa sempre è quello dell’infarto, che nelle donne ha dei sintomi diversi rispetto a quelli che ha negli uomini. Molto spesso gli infarti che colpiscono le donne non vengono riconosciuti perché sono poco studiati, e quindi si arriva al pronto soccorso in ritardo”.
Anche le voci nella domotica possono contribuire, più o meno consapevolmente, a perpetuare un meccanismo di discriminazione nei confronti delle donne. “Sono quasi sempre voci di donne – spiega Martinelli – che vengono a tutti gli effetti considerate come il servo di casa, perché si dice loro: ‘Chiudimi la finestra’, ‘Aprimi la tapparella’… Magari non ci pensiamo perché ci siamo abituati, ma questi sono, a tutti gli effetti, degli unconscious bias, dei pregiudizi inconsci”.
Martinelli racconta anche della sua recente collaborazione con un gruppo di ricercatori coreani che si occupano di intelligenza artificiale. “È veramente molto interessante studiare come le discriminazioni e gli stereotipi umani vengono trasferiti anche nell’intelligenza artificiale”, conclude. “È stato messo in luce, ad esempio, che se una persona fa una ricerca su Linkedin per trovare una figura professionale, i primi volti che compaiono sono maschili. Mettiamo in mano a questi algoritmi delle scelte molto importanti; se questi algoritmi si basano su stereotipi, ovviamente le discriminazioni si protrarranno nel tempo”.
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