Vi proponiamo il racconto primo classificato all’edizione 2021 del Premio Melchionna: NOTTI DI VIOLINO di Cristina Biolcati
Avevo un amico, un tempo. Lui suonava il violino perché voleva che non mi perdessi e che ritrovassi sempre la sua casa. Aveva occhi grandi, grigi. Con la figura imponente mi sovrastava, mi proteggeva. Lasciava orme larghe, i piedi ben piantati.
Diceva spesso, come certi poeti, che gli uomini sono fatti per intendersi, per amarsi. Che se anche saremo un giorno senza patria o senza casa, reinventeranno le case e le patrie, quelle di tutte le epoche, perché così si daranno basi e radici ai figli, a coloro che si ama.
Mi accoglieva benigno, qualunque cosa stesse facendo. Sorrideva. E ogni volta io scoprivo la gioia di vedere che qualcuno credeva in me, era disposto a fidarsi della mia persona.
Mi diceva che non eravamo vecchi, nonostante passassero inverni e primavere. Certo, non aveva soluzioni a tutti i problemi della vita, ma mi piaceva starlo ad ascoltare.
Nel buio scorgevo il suo dolore, quando parlavamo fitto e l’alba arrivava senza che ce ne accorgessimo. La luce a svelare un silenzio remoto, profondo e assorto.
Era come conoscesse il flusso della mia marea, la piena. Lo sapeva sempre quando stavo per straripare e mi arginava. Capiva il mio bisogno, col diniego ed il suo vuoto.
Conoscevo a menadito i segreti del suo cuore, quelli che lui diceva a me soltanto. Mi sono adagiato nel rimorso di non averlo abbastanza ricambiato. Manca ad ogni angolo il suo conforto, un’esistenza defraudata. Piccolo è il dolore: punge. Come uno spillo nella carne, mi scuote a ogni ora. Di aria ha fame l’uomo, adesso io lo so.
La casa è silenziosa, niente più note del violino. Profonda è la notte, le stanze sono tutte buie.
La vergogna s’inabissa in un baratro, per come lo abbiamo trattato. Perché da quando ci ha colpito la maledetta pandemia da Covid-19, non sembriamo neanche più esseri umani.
Il mio amico si è ammalato ed è morto nell’indifferenza più totale; nemmeno un lamento.
Non ho potuto avvicinarmi all’ospedale, custodirò invece il suo violino. Pavido mi guarderò le spalle, l’ombra che si allunga. Fa ancora tanto male…
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