“Il secolo che sta morendo/diventa sempre più allarmante/a causa della gran pigrizia della mente./E l’uomo che non ha più il gusto del mistero, che non ha passione per il vero/ che non ha coscienza del suo stato – un mare di parole/un mare di parole – è come un animale ben pasciuto”.
Quant’è profetica questa canzone scritta da Giorgio Gaber nel 1995 per denunciare la superficialità, “lo sfoggio di opinioni”, “il gran trionfo dell’azione” che lascia soltanto le “teste un po’ vuote”. L’aveva malinconicamente intitolata “E pensare che c’era il pensiero…” il menestrello Gaber che ci aiuta ad approfondire lo slogan della campagna promozionale di Vita Trentina lanciata (vedi pag.11)sabato scorso: “La voce locale diventa pensiero”.
Non basta più oggi farsi voce. E non basta essere una voce fra le altre, ansiose di alzare i toni, riempire i canali, anticipare i concorrenti. Sarebbe solo la frenesia tipica della piazza del mercato (anche di quello digitale), nella quale tutto finisce ben presto nel cestino, un clic sul tasto CANC. E nella quale nevroticamente si cambia continuamente pagina (è certo che la permanenza media su un articolo di giornale nel web è di meno di dieci secondi). Si consumano le informazioni e i titoli con avidità sbrigativa: è la bulimia di sapere prima per fare subito “inoltra” oppure “condividi”. Ma cosa?
Quando affermiamo come Gaber la nostalgia di un pensiero maturo che sia alternativo al chiacchiericcio e al battutismo sottolineiamo innanzitutto la sua capacità di resistere nel tempo, di non evaporare. Un pensiero forte – per questo Vita Trentina, pur essendo presente nel web, vuol continuare ad affidarlo ogni 7 giorni alla carta – rimane vivo anche a distanza di giorni. Un riferimento duraturo, altro che usa e getta.
Ma il nostro giornale ambisce a farsi pensiero anche quando sceglie di non fermarsi alla comunicazione di una vicenda. La approfondisce, la integra, la spiega secondo la chanche in più del settimanale che può mettere in ordine gli sviluppi, i rapporti causa-effetto, i punti di vista.
Il pensiero non si ferma alla superficie dei fatti, perché sappiamo bene che un giudizio a caldo è inesorabilmente incompleto, spesso fallace. Godendo del tempo in più a disposizione, il settimanale può uscire col vantaggio di uno scavo profondo, di un lavoro sedimentato. E’ il frutto di una ponderazione, non lo sfogo di un’impressione.
Rivedendo tanti nostri titoli di copertina di questo 2019 – da “Ridiamo fiato all’Europa” a “La paura non ci blocchi”- ritroviamo spesso l’uso del prima persona plurale, il “noi”. Ecco un’altra caratteristica: il pensiero del settimanale diocesano è comunitario, ovvero nasce da un confronto dentro una comunità che è più grande di una redazione; è un vero e proprio discernimento che al giovedì consente ai lettori di ritrovarsi in un sentire comune, un sentire cum ecclesia, come si augurava don Delugan nel primo editoriale del 1926.
Il pensiero forte non si avvita in se stesso, non si autoconclude. Sa essere generativo di re-azioni, di altri pensieri, in un dialogo sempre aperto. Prendete la drammatica vicenda del dopo Vaia che ci ha confermato come anche dentro le pagine di un giornale possa trovare evidenza forte e ripetuta quel sentimento di conforto e di ripresa al quale il nostro Arcivescovo ha dato voce nelle omelie di questo primo anniversario (vedi pag. 4 e 5).
“La voce locale diventa pensiero”: per noi è un impegno. Perché possa realizzarsi, in tempi non facile per l’editoria di ogni tipo, chiede la vostra condivisione non solo nel rinnovare l’abbonamento, ma anche nel proporlo ai vicini. Di questo vi ringrazio in anticipo, personalmente.
Sabato scorso abbiamo premiato i nostri storici “fiduciari” che battono le case porta a porta e li abbiamo incoraggiati. Se ogni lettore si facesse “fiduciario” il settimanale dei trentini – voce libera in un panorama di stampa locale che ha tutto il baricentro in Alto Adige – potrebbe consolidare la propria autorevolezza e anche la capacità di farsi pensiero. Un pensiero ispirato dal Vangelo e destinato ad ogni uomo di buona volontà.
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