Una situazione esasperata

Cosa pensi di cavare la classe politica da una situazione esasperata come quella che va costruendo in quest’ultima settimana è quasi impossibile da capire. Una logica che sembra ispirata al nuovo principio “a populista, populista e mezzo” è aberrante e non aiuta né a promuovere la Costituzione aggiornata né a difendere quella che c’è: finirà solo per aumentare la distanza della maggior parte della gente da una sfera pubblica vista solo come rissa privata fra fazioni che fanno i fatti loro.

Purtroppo il campionario di attacchi reciproci sconsiderati si va infittendo di giorno in giorno. Un intervento francamente incredibile è quello del costituzionalista Alessandro Pace che ha dichiarato che una vittoria del sì dovuta al voto degli italiani all’estero andrebbe impugnata davanti alla giustizia per brogli. Prima ancora di discutere sulla plausibilità o meno di questa minaccia (ci permettiamo di dire che viene da dubitare che a formularla possa essere un giurista serio), ci viene spontanea una banale obiezione: e se a vincere grazie ai voti degli italiani all’estero fosse il no, non ci sarebbe lo stesso problema? Oppure non c’è solo perché il professor Pace presiede uno dei comitati per il no?

Ovviamente non è che nel campo del sì manchino gli scivoloni in direzione populista. La stessa onnipresenza del premier Renzi che finisce più per fare siparietti che per ragionare su un tema cruciale come l’aggiornamento della costituzione finisce per diventare uno spettacolo un poco stucchevole che non si sa quanto giovi alla causa che vuole sostenere.

I tattici della politica ci spiegano naturalmente le cose in altro modo. Renzi si batte per avere comunque un risultato a suo favore, poiché personalizzando tutto col sostegno attivo dei suoi avversari finirà per intestarsi il risultato del sì anche se soccombente. Sarebbe infatti lui solo a reclamare il merito di aver raccolto una messe di consensi comunque notevole, perché gli altri sostenitori politici non sono accreditati di alcuna capacità di muovere consensi rilevanti. Tutta diversa la situazione nel campo avverso perché lì il successo eventuale o anche l’eventuale consenso significativo seppur perdente sarebbe da dividere fra una quantità di soggetti: Salvini, Grillo, Berlusconi, estrema sinistra, dissidenti PD e via elencando.

Per questo ognuno di loro alza i toni per potere il 5 dicembre prendersi una quota maggiore del merito, ma soprattutto per esigere un posto privilegiato al tavolo dei negoziati che, comunque andrà a finire, si dovranno aprire per la riforma delle leggi elettorali per Camera e Senato. Magari anche per mettere becco in un eventuale governo di transizione o per intrallazzare nel caso di un rimpasto nel governo attuale.

Dubitiamo che la gente apprezzi molto questi machiavellismi da quattro soldi e che portino consensi quando inevitabilmente si andrà a votare al massimo ad inizio 2018. L’astensionismo è già notevole, di incrementarlo non sarebbe proprio il caso.

Il fatto è che ormai la situazione è scappata di mano e come in tutte le partite agonistiche nessuno vuol correre il rischio di doversi rimproverare poi di aver perso per non avere giocato tutte le carte che poteva avere in mano, anche quelle che avrebbe fatto bene a scartare. Nonostante qualche isolata voce che richiama ad una decenza istituzionale (da ultimo il presidente emerito Napolitano) non sembra ci siano spazi per far rientrare lo scontro entro limiti accettabili. Vedremo poi, depositatasi la polvere di queste zuffe, quanto il paese dovrà pagare per il deterioramento dell’attività di governo e di quella parlamentare determinatasi in questi mesi.

Una conseguenza la si sta già vedendo nella discussione sulla legge finanziaria, dove è un gran lavoro di lobby e di interventi su microproblemi senza che sia possibile capire né quale logica ispiri il disegno complessivo né quale forza possa esserci per contenere quello che è il consueto assalto alla diligenza che si verifica in questi casi. Sarà interessante verificare se nel passaggio al Senato che si verificherà dopo il referendum reggerà questa impostazione o se ci sarà occasione per rimettere un po’ d’ordine.

Intanto però ci aspettano un’altra decina di giorni di risse e questo senz’altro non farà bene alla democrazia italiana: alla faccia tanto di quelli che si riempiono la bocca di difesa dei valori costituzionali quanto di quelli che si concentrano solo a magnificare tagli di poltrone, risparmi e sconfitta della casta.

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