La situazione internazionale non è di quelle che inducano pensieri rassicuranti. Non c’è solo la questione, già di per sé spinosa, della ripresa del terrorismo islamico, che non riusciamo ancora a capire se sia una fiammata tutto sommato circoscritta o se segni l’avvio di una campagna su vasta scala. La reazione a livello delle forze di sicurezza è stata molto forte e dunque è possibile che anche in presenza di piani di ampia portata chi muove i fili del terrorismo islamista abbia pensato che sia più prudente attendere che la situazione si normalizzi. Però è tutt’altro che sicuro.
Ciò che invece preoccupa notevolmente è l’incidente avvenuto ai confini fra Siria e Turchia, dove le forze aeree di Ankara hanno abbattuto un velivolo russo in missione suscitando l’ira inevitabile di Putin. Come sempre i contorni dell’accaduto non sono chiari, ma è dubbio che si sia trattato di un semplice errore da una delle due parti. Difficile immaginare che i russi non sapessero di essere un possibile obiettivo in caso di sconfinamento, altrettanto difficile pensare che i turchi temessero chi sa quali danni alla loro sovranità da un limitato sconfinamento aereo.
Si è chiaramente trattato di un braccio di ferro, un episodio, se ci si consente una battuta in una materia certo spinosa, di puro bullismo militare da una parte e dall’altra. Con che scopo? Questa è la vera domanda. Le interpretazioni che girano sono queste. Sul versante russo si è voluto sottolineare che la presenza in zona di una superpotenza doveva contemplare uno statuto particolare per le sue forze armate, soprattutto nel momento in cui esse agivano in una direzione anti-Isis cioè su un fronte che non è proprio gradito ai turchi, che temono molto la creazione, di fatto o di diritto, di uno stato curdo (è una delle opzioni sul tavolo dei negoziati di pace).
Sul versante turco si è voluto saggiare quanto Ankara possa contare sulla solidarietà Nato (formalmente lo sconfinamento di un aereo militare è un atto aggressivo a cui l’alleanza tutta deve rispondere) e quanto possa ricattare l’Europa minacciando di non farsi più carico di trattenere in qualche modo le ondate di profughi in fuga dalla Siria.
Come la faccenda potrà evolversi lo si vedrà, ma in questa sede ci interessa soffermarci sul fatto che adesso l’Italia finisce coinvolta in una vicenda in cui sperava di tenersi ai margini. Il nostro paese è infatti sia membro della Nato che direttamente interessato al contenimento delle ondate di profughi, anche se per la verità i siriani puntano più a nord come meta finale.
Renzi sin qui si è mosso con grande prudenza, consapevole della delicatezza della situazione generale, ma anche di quella specifica del nostro paese. Non c’è solo il problema del grande flusso di pellegrini che si presume porterà il giubileo, anche se col clima attuale bisognerà poi vedere quanto sarà toccato dalle preoccupazioni che si presentano dopo i fatti di Parigi. Altrettanto pesante è la consapevolezza di non poter contare su un paese non diremo unito, ma almeno percorso da un sentimento di razionalità che sconsiglia di dare spazio a troppe tensioni interne.
Sebbene il tema della legge di stabilità (l’ex finanziaria) sia sparito dai radar della pubblica opinione, è un fuoco che cova sotto la cenere. Le prese di posizione di Bruxelles non lasciano spazi di manovra in questo campo, tanto più che l’aumentata esigenza di spesa per la sicurezza contrae ulteriormente le risorse disponibili. Cosa ci attende in questo contesto è difficile da dirsi, ma certamente le inevitabili “amarezze” (mettiamola così) che si dovranno dare a tanti che chiedono non incrementeranno la fiducia nella stabilità del quadro politico. Quando si vede che nei sondaggi in caso di ballottaggio c’è l’ipotesi non irrealistica che possa prevalere il M5S contro il PD, si capisce che nel paese c’è un malumore antigovernativo disposto a qualunque avventura pur di farsi sentire.
Dal canto suo Renzi, avendo lasciare andare il partito al suo destino senza preoccuparsi di ristrutturarlo veramente, rischia di veder franare la sua base elettorale nella prossima tornata delle amministrative. Con l’aggravante che il gruppo dirigente di cui si è circondato non ha dato in questi ultimi mesi buona prova di sé.
Con un contesto internazionale come quello che si prospetta, non sembra ci sia da stare allegri.
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