Joy del regista David O. Russel, quello di The Fighther e Il lato positivo per intenderci, è uscito da poco nelle sale e racconta la storia e la scalata al successo di Joy Mangano, la casalinga americana inventrice del “mocio vileda”,una self made woman che negli anni novanta, grazie alle televendite, ha spopolato e è diventata una delle imprenditrici più popolari degli Usa.
Anche Steve Jobs, l’ultimo film di Danny Boyle, nelle sale in queste settimane, racconta la biografia del self made man americano oggi più famoso al mondo, il guru dell’informatica fondatore e ideatore del colosso Apple.
Questi due film hanno anche altri aspetti in comune, ad esempio entrambi romanzano molto la biografia dei personaggi reali a cui si ispirano, tanto da esaltare e rendere mitica e eroica la loro scalata al successo.
Inoltre Joy nel film è Jennifer Lawrence, che per l’interpretazione di questa donna comune in grado di fare cose uniche e stimolanti, si è guadagnata una nomination agli Oscar; così come Fassbender, che dà il volto a un tormentato e litigioso Jobs, è in lizza come attore protagonista, contendendosi la statuetta con il Di Caprio di “Revenant” (che vinca il migliore!).
Temi comuni sono anche la creatività: Joy inventa il mocio, Jobs il Mac; la comunicazione dei loro prodotti, Joy utilizza le televendite, Jobs le sue esibizioni-evento; ma anche la sofferenza e il peso del successo, come l’ambientazione nell’ America degli anni Novanta, anni lontani mille miglia dalla nostra crisi e dalla depressione, anni in cui il sogno americano era ancora possibile.
Il film di Russel è una commedia piuttosto noiosa e senza grossi colpi di scena che si regge su una dinamica interpretazione della Lawrence e su una sua gradevole presenza scenica. La storia enfatizza lo sfacelo della famiglia di Joy, che si ritrova con: una madre drogata di televisione e di soap opera; un padre, De Niro bollito, sempre a caccia di mogli; un marito inetto, tanti debiti e fallimenti. In questo tragico insieme l’unica persona che riesce a sostenere Joy è la nonna. E sarà proprio grazie a questa figura affettivamente importante che, una volta arrivata ai vertici del successo, Joy sarà un’imprenditrice umana e comprensiva e metterà in pratica una politica imprenditoriale di aiuto e di sostegno soprattutto per le donne che vogliono emergere: “so bene come si sta su quella poltrona”, dirà come ultima battuta del film, a una donna di colore che ha attraversato l’America per raggiungere il suo mega ufficio e proporle un’invenzione.
La sensibilità e l’umanità sembrano invece mancare del tutto al guru dell’informatica Jobs, che per tutto il film fatto di dialoghi serratissimi e complicati, litiga con tutti: colleghi, amici, moglie e figlia. Uno Steve Jobs sofferente e incapace di umanità, perché come lui stesso dice nel film “sono stato abbandonato dalla famiglia che mi aveva adottato”.
Insomma sono due storie non proprio vere che mettono in luce due caratteri sociali: una donna che non perde la sua femminilità e anzi accresce la sua umanità con il successo; un uomo che fa del successo l’unico piacere della vita, poiché si nega la capacità di amare.
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