Un gruppo di ricerca austriaco e italiano guidato dal professore dell’Università di Innsbruck Andreas Villunger e dal professore dell’Università di Trento Luca Fava ha scoperto un meccanismo finora sconosciuto che innesca la morte delle cellule tumorali in due modi distinti. Si tratta di un meccanismo che potrebbe contribuire a combattere i tumori del sangue, poiché molte terapie in uso o in via di sviluppo colpiscono l’ultima fase della divisione cellulare delle cellule tumorali. L’articolo con i risultati ottenuti è stato pubblicato sulla rivista Science Advances.
LO STUDIO
Per mantenere in vita un organismo complesso come un essere umano occorre produrre continuamente un numero enorme di nuove cellule in tutti i tessuti che continuano a rinnovarsi, tra cui, per esempio, il sangue. Ciò avviene tramite processi invisibili e continui, che si ripetono molte migliaia di volte ogni giorno.
Osservata nei dettagli, ciascuna divisione cellulare può apparire come un microscopico miracolo. Nell’arco di poche ore in molte cellule del corpo umano – ma lo stesso avviene anche in piante e animali – si replica l’intero genoma, lungo miliardi di “lettere” chiamate nucleotidi. Inoltre la maggior parte delle altre strutture cellulari raddoppia in modo che, al termine del processo, possano emergere due cellule figlie complete.
Poco prima della divisione emergono, tra le altre cose, due strutture proteiche complesse, dette centrosomi, che si posizionano ai due poli opposti nella cellula madre. I centrosomi sviluppano lunghi filamenti proteici, dando forma all’apparato del fuso mitotico. Il materiale genetico duplicato si aggancia a tale apparato, estendendosi verso le due estremità. Una copia di ciascun cromosoma è così attirata verso uno dei due centrosomi, in modo che il materiale genetico si ripartisca equamente nelle nascenti cellule figlie.
Se tuttavia questo processo non riesce, i risultati possono essere disastrosi. Le cellule risultanti possono, per esempio, rimanere unite come gemelli siamesi, contenendo il doppio dei cromosomi e dei centrosomi di una cellula normale: una caratteristica che le rende non solo inadeguate, ma anche più predisposte a trasformarsi in tumori maligni. Molte cellule tumorali, presentano infatti cromosomi e centrosomi in sovrannumero. In genere, la maggioranza di queste cellule difettose arresta il proprio ciclo cellulare o innesca la propria autodistruzione attraverso meccanismi finora sconosciuti.
Nell’articolo pubblicato su Science Advances, il gruppo di ricerca ha rilevato che la presenza di centrosomi in sovrannumero in una cellula, segno distintivo di una divisione cellulare che è stata interrotta, attiva un complesso di diverse proteine chiamato PIDDosoma. Il PIDDosoma, a sua volta, attiva l’enzima caspasi-2, che innesca due meccanismi in grado di portare alla morte della cellula. Nel primo, la proteina BID distrugge i mitocondri, le centrali energetiche della cellula, causando la morte di quest’ultima. Nel secondo, il noto soppressore tumorale p53 avvia ulteriori vie di segnalazione che provocano anch’esse la morte cellulare. Questo “doppio colpo” garantisce che le cellule con più centrosomi vengano eliminate, anche in condizioni in cui una delle due proteine, BID o p53, sia assente o inibita.
I risultati del gruppo di ricerca non si sono limitati a chiarire questi meccanismi molecolari fondamentali, ma hanno anche suggerito potenziali applicazioni per il trattamento dei tumori del sangue. È noto che le cellule tumorali compiono una divisione cellulare rapida e incontrollata, che spesso comporta la formazione e l’accumulo di più centrosomi. Molte terapie antitumorali mirano a ostacolare proprio questo processo. Potenziare l’effetto distruttivo del PIDDosoma potrebbe dunque migliorare l’efficacia delle terapie.
“L’analisi dell’attività di BID e caspasi-2 nelle cellule tumorali potrebbe potenzialmente permettere di individuare i pazienti che hanno maggiore probabilità di rispondere a farmaci che interferiscono con la divisione cellulare”, spiega Andreas Villunger, evidenziando le potenziali applicazioni cliniche della ricerca. “Tradurre la ricerca di laboratorio in pratica clinica è un processo lungo e complesso. Tuttavia, conoscere più approfonditamente i meccanismi di funzionamento di farmaci già approvati è essenziale per rendere le terapie più efficaci e tollerabili”, aggiunge Luca Fava, che ritiene che la ricerca potrebbe contribuire a promuovere l’uso di nuove combinazioni di farmaci esistenti.
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