“Gente felice”, la capo scout del gruppo Trento 8 dell’Agesci: “L’idea è mettersi al servizio del prossimo”

Maria Roncelli, bergamasca di 24 anni, si è trasferita a Trento per studiare Giurisprudenza, ma non hai mai abbandonato la sua passione per la montagna e per lo scoutismo. In questo momento è capo scout nel gruppo Trento 8 dell’Agesci. L’ufficio stampa del Comune di Trento ha raccolto la sua storia per la campagna “Gente felice”, lanciata in occasione di Trento capitale europea e italiana del volontariato 2024.

Da quanto tempo è volontaria per gli scout? Come ha iniziato?

Dunque, io faccio servizio come scout da quattro anni, ma ho iniziato il percorso negli scout 16 anni fa e nell’ultimo periodo prima di diventare capo scout ho fatto delle esperienze di volontariato.

Ci spiega come funziona il percorso scout?

Lo scoutismo è un percorso che serve ad educare dei cittadini attivi e responsabili che si preoccupino non solo di se stessi, ma anche del resto del mondo. In questo percorso, i primi quattro anni sono dedicati al gioco; il secondo ciclo di quattro anni all’avventura, quindi con le tende, il fuoco e tutte quelle cose legate alla scoperta del mondo naturale; mentre il terzo ciclo è dedicato alla comunità, interna al gruppo scout, ma anche alla comunità cittadina e del mondo, e al servizio a questa comunità. Questo è tutto il percorso scout sintetizzato in poche parole. Nell’ambito di questo ultimo ciclo ho fatto delle esperienze di volontariato, per esempio una volta sono andata in un’oasi del Wwf ma puoi anche insegnare in una scuola di italiano, oppure fare servizio in una delle “branche” precedenti. Alla fine del percorso si arriva alla “partenza” che è il momento in cui decidi i tuoi valori, le cose in cui credi e ti impegni a vivere e a prendere decisioni in futuro nel rispetto di questi valori. Tra questi c’è anche la scelta del servizio che si vuole svolgere in seguito. La mia scelta, quando avevo 20 anni, è stata di seguire le altre branche del gruppo scout, quindi per tre anni ho seguito il bambini dagli 8 ai 12 anni (i Lupetti), e poi per un anno i ragazzi dai 16 ai 20 anni.

Lei parla spesso di servizio, anziché di volontariato, è una scelta voluta?

Sì, nell’ambito degli scout Agesci, non parliamo di volontariato ma di servizio, perché l’idea è di mettersi al servizio del prossimo, di rispondere al servizio di cui c’è bisogno, lasciando da parte le preferenze personali. Il senso è di rispondere ad una chiamata e andare dove c’è bisogno.

Nel suo servizio, quali sono le attività di cui si occupa nello specifico?

A inizio anno con gli altri capi facciamo il punto della situazione, sulle necessità che hanno i bambini o i ragazzi del gruppo, sui punti su cui lavorare con loro. Quindi in pratica ci poniamo degli obiettivi rispetto al gruppo e anche rispetto ai singoli bambini o ragazzi. Da qui organizziamo delle attività, basate sul gioco per i bambini e su altre modalità per i più grandi, che ci facciano raggiungere questi obiettivi.

Ha degli esempi pratici?

Avevamo un bambino che è sempre stato molto agitato, nel senso che fa molta fatica anche solo a stare seduto in cerchio durante le attività, e quindi magari dopo cinque minuti si alza e inizia a scavare nella terra, oppure a messa tamburella i ritmi delle canzoni sulla pancia. Però è anche un bambino geniale, con un sacco di interessi e passioni. Quindi abbiamo deciso di mandarlo ad un campetto regionale, lui da solo con altri scout del Trentino Alto Adige, con l’idea di responsabilizzarlo. E i capi di questo campo ci hanno chiamati entusiasti, dicendoci che è stato bravissimo e che è un bambino intelligentissimo. Poi quando lui è tornato ha raccontato l’esperienza agli altri bambini, che lo avevano sempre visto come il giullare di corte. E invece lo hanno rivalutato come un bambino in gamba che sa fare un sacco di cose. Quindi per lui è stata un’occasione per farci vedere un’altra parte del suo carattere.

Le chiedo adesso un ricordo o un aneddoto che le è rimasto particolarmente a cuore.

In generale a me piace molto stare con i bambini e interagire con loro. Mi ha sempre colpito molto il modo che loro hanno di fare domande. Per esempio, una volta un bambino mi ha chiesto quale fosse stato il momento più bello della mia vita fino ad allora. E io ci ho pensato per una settimana, sempre trovare una risposta. Però ecco, mi piace che ti facciano sempre cambiare sguardo. Ho un altro bel ricordo di un bambino che il primo giorno di scuola poteva vestirsi come voleva, in modo da sentirsi a suo agio e orgoglioso. E lui ha deciso di vestirsi da scout.

Ha dei consigli o delle richieste per facilitare il volontariato nel suo ambito?

La cosa più complessa nello scoutismo è l’impegno, che ti prende tanto tempo e che può arrivare a occupare molto spazio della tua vita. Soprattutto con i bambini si crea un rapporto per cui quasi ogni sera ti chiama un bambino o un genitore per parlare delle cose più disparate. E questa è la cosa più faticosa. Poi c’è la questione organizzativa, perché lo scoutismo vive molto anche di universitari che però magari restano solo un anno o anche meno. A livello logistico mi piacerebbe che esistesse un sito unico dove cercare magari strutture e posti in cui possiamo svolgere le attività fuori posto, con le varie informazioni e contatti.

Pensi che fare volontariato a Trento ti abbia fatto conoscere meglio la città e le persone?

Totalmente. Nel senso che essendo una studentessa fuorisede all’inizio frequentavo solo altri fuorisede. Invece poi entrando nel gruppo scout ho conosciuto dei trentini e sono riuscita a creare tante amicizie con loro. E poi mi ha fatto conoscere meglio il territorio: banalmente per organizzare le uscite del fine settimana ho scoperto un sacco di posti nuovi. E ora conosco quasi meglio il Trentino che le zone circostanti Bergamo.

Fare volontariato mi rende felice perché…?

Perché mi fa incontrare gente che condivide i miei stessi valori.

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