Alcide, politico esemplare, guidato da una fede granitica, coerente, cristallina. Don Giulio, storico e coraggioso direttore per 40 anni di Vita Trentina, giornale aperto fin da subito al sociale, capace di portare la Parola dentro le case. Parlò del “più grosso pulpito della diocesi”, espressione ricordata da Giustino Basso, sabato pomeriggio al “Vigilianum”, nell'introduzione all'incontro “Don Giulio, amico di mio padre”, con le testimonianze della figlia Maria Romana e dello storico della Chiesa trentina don Severino Vareschi.
“Una colpevole distanza oggi ci separa nel nostro vivere sociale, ma anche nell'esercizio della nostra professione di giornalisti, dall'insegnamento di questi due grandi uomini, grandi giornalisti”, ha sottolineato il presidente dell'UCSI prima che le vibranti parole di Maria Romana, 93 anni, facessero emergere il profondo rapporto di amicizia e collaborazione fra “il sacerdote conoscitore e amante della politica e il politico che senza mai coinvolgere le autorità della Chiesa sapeva portare avanti una socialità e una politica con fede cristiana”.
Un rapporto iniziato all’interno dei circoli cattolici nei primi anni del novecento, quando Degasperi dirigeva il Trentino e cercava di attirare i giovani studenti di allora sui problemi cristiano-sociali (“qualche sua buona parola cadde anche nel mio animo”, avrebbe scritto poi Delugan).
Un rapporto che si rafforzò nel 1922 durante il grande Congresso giovanile di Trento, quando Degasperi prese le difese dei giovani cattolici contro le accuse dei primi fascisti che li incolpavano di poco patriottismo. Proseguì, come riferisce nel 1964 lo stesso Delugan, restando sempre sereno e cordiale, anche “durante gli anni della persecuzione e dell’umiliazione”, con la “corrispondenza epistolare” e “con le periodiche visite a Roma e in Sella e, in forma molto discreta, anche dopo la sua salita al potere”.
Fino all'ultimo viaggio dello statista, “esperienza indimenticabile” su quel treno che ne accompagnò la salma da Trento a Roma per don Giulio che fu “spettatore, alle varie maggiori stazioni, delle scene indescrivibili di amore, di preghiera e di venerazione per il defunto da parte delle folle strabocchevoli”.
Treno che accompagnava i viaggi del direttore di Vita Trentina in visita a Sella di Valsugana. Il primo ricordo di Maria Romana, allora bambina, è proprio di quel prete in abito talare che ogni tanto lo faceva inciampare sul prato, dell'abbraccio affettuoso ma trattenuto (da buon trentino…) del padre Alcide. “Partivano subito verso il bosco, il tempo era poco e avevano bisogno di parlare tra loro, di confrontarsi, stando attenti attenti perché il fascismo controllava le persone che parlavano con mio padre”. Da quegli incontri, ricorda Maria Romana, Alcide tornava a casa sereno, quasi sorridendo fra sé e sé. “E a volte aveva gli occhi lucidi: affetto, riconoscenza nostalgia e speranze”.
Degasperi ha rappresentato un simbolo, è stato modello esemplare di virtù personali, professionali e politiche. “Non dubito di affermare – scriveva Delugan ricordandolo – che la sua più grande forza fu la fede. Nella quale va ricercata la fonte dei suoi successi, della sua fiducia incrollabile, del suo coraggio, della sua pazienza, della sua capacità di sacrificio, della sua semplicità e umiltà al punto da poter affermare ripetutamente che non sarebbe rimasto al suo posto di governo neppure un momento se non avesse avuto la persuasione di compiere con ciò la volontà del Signore”.
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