Elogio della costanza

La professione solenne della giovane monaca Silvia a Pian del Levro. Foto (c) Gianni Zotta

Anche Silvia è figlia del nostro tempo. A 34 anni ha già fatto tre diversi lavori, vede l’agenda riempirsi di date e il cellulare di messaggi. Nel diventare monaca, sabato scorso a Pian del Levro, ha chiesto il dono di una virtù sempre più ostica nella cultura odierna: la perseveranza.

Quando le abbiamo chiesto cosa significa la perseveranza nella sua professione religiosa, Silvia ha risposto con altre parole altrettanto impegnative oggi: costanza, fedeltà, continuità. Ha aggiunto di considerarle sì un dono da chiedere al Signore, ma anche di averle viste praticate nella vita dei suoi genitori, delle consorelle, di altri amici, ieri e oggi, pure in momenti dolorosi.

Non c’è dubbio che le relazioni più frenetiche e più stressate di questi nostri anni ci portino più facilmente a “mollare” gli impegni, sia quelli presi con gli altri che quelli presi con noi stessi. Negli ambiti più diversi: dall’assicurazione all’amico che “ci sentiamo almeno una volta in settimana” all’impegno di presenziare alle riunioni mensili dell’associazione, dal rispetto della visita “fissa” ad un ammalato all’osservanza del limite nel consumo di alcol o di dolci. Verrebbe da dire che “la costanza non è più una virtù”, se poi anche le realtà di volontariato registrano fisiologici cali di tensione (oltre che di iscrizioni) e perfino i collezionisti si lamentano che tanti soci “mollano” senza farsi troppi problemi.

I sociologi, prima e dopo Bauman, hanno già descritto una “liquidità” sociale che rende gli impegni meno duraturi e riduce la stessa durata di ogni contratto. I pastoralisti ne evidenziano le ricadute nella fatica di mantenere le vocazioni di lunga gittata – non solo quelle matrimoniali – dentro un’opinione pubblica per la quale la promessa del “per sempre” viene considerata quasi antistorica.

Ma lo sanno tutti: ci vuole motivazione e allenamento per essere costanti. Lo insegna Jannik Sinner che dalla Pusteria è arrivato in cima al mondo del tennis, grazie ad allenamenti monotoni e terapie centellinate giorno per giorno. E lo insegna nel suo giovanile entusiasmo anche la monaca Silvia che – come le consorelle – è cresciuta costantemente nella sequela al Signore che ha i ritmi della preghiera delle ore, dell’ascolto quotidiano della Parola, degli esercizi spirituali. Ma vale per tutti i credenti (e gli uomini di buona volontà) che cercano di mantenere fede alle loro “promesse”. Lo notava Francesco nella catechesi sulle virtù (10 aprile 2024) descrivendo la fortezza come “la virtù morale che, nelle difficoltà, assicura la fermezza e la costanza nella ricerca del bene”.

Ma è stato Benedetto XVI a trovare le parole più efficaci per l’elogio della costanza: appoggiandosi alla lettera di San Giacomo (“Guardate l’agricoltore: egli aspetta con costanza il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le prime e le ultime piogge”) egli esortava a questa virtù che “apparteneva al bagaglio normale dei nostri padri” e che va alimentata “con impegno umano e affidamento al Signore”, prendendo in mano la Sacra Scrittura.

Insomma, tenacia e allenamento, fiducia e affidamento. Ben sapendo quali sono gli avversari che scendono in pista per “bruciare” la costanza: in primo luogo la fretta, che ci spinge a tagliare subito il traguardo (anche se è lontano) o prendere scorciatoie ingannevoli e molto frequentate. Il secondo nemico è la pigrizia che spesso si associa come un gregario al menefreghismo, al disimpegno e alla rassegnazione di chi avrebbe voluto “tutto e subito”.

In un inedito e confortante dibattito fra giovani riuniti al Vigilianum lunedì scorso (vedi pag. 10) abbiamo sentito la virtù della costanza sulla bocca di Giacomo D’Alessandro, autore del saggio “Fare quanto è giusto”: per non cadere nel consumismo di esperienze e relazioni, egli invitava a recuperare il valore della lentezza e della progettualità, che possono aiutarci a guardare con speranza a obiettivi di lungo termine. “Non si vive di rabbia. Non si cresce sul rancore – aggiungeva – forse occorre metterci prima di tutto nell’animo di accettare questo tempo che viviamo. Le sue cadute indicibili, tra le quali possiamo comunque sempre trovare dei voli meravigliosi”.

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