È stata inaugurata nel pomeriggio di martedì 14 maggio all’Atelier “Benigni” degli editori trentini, in via Belenzani a Trento, la mostra “Tra Sacro e Profano“, con le opere di Barbara Cappello, incentrata sul tema della triade, uno dei simboli più ricorrenti nelle culture religiose dei vari popoli.
Basti ricordare la Trinità, poiché «Dio tutto fece con peso, numero e misura», secondo il Libro della Sapienza (XI, 21), e tre sono gli attributi di Dio: verità-unità, bellezza e bontà. Ma ben più antiche sono la triade induista Trimurti, composta da Brahama, Siva e Visnu, quella dei nordici Odino, Thor e Freyr, e quella dei latini Jupiter, Mars e Quirinus, senza dimenticare la religione iranica con la sua idea della trinità del tempo e la triade di Luce, Potenza e Sapienza, ripetuta dal profeta iraniano Mani e incorporata nel manicheismo. L’alchimia riconosce nella trinità i tre principi delle cose: lo zolfo, l’olio e il fuoco. Ma è tra l’elemento femminile che la triade assume un valore strettamente legato alla fertilità, alla madre terra, alla rigenerazione e all’acqua. Ecco allora Le tre dee dei tre fiumi sacri indù, Ganga (Gange), Yamuna (Jumma) e Sarasvati (Sarasvati), la celtica dea Brigit una e trina, le greche Moire, le nere e ripugnanti Erinni, le Parche, le tre vergini ateniesi Aglauro, Erse e Pandroso, fino ad arrivare alle cristiane tre Marie (Maria, Maria Egiziaca, Maria Maddalena), alle martiri egiziane Teotista, Teodota e Eudossia, quindi alle musulmane Altat, Manat e Al-Uzzà.
I luoghi dove sgorgano sorgenti portano spesso nomi che ricordano la trinità, come le Tre Sorelle in Val di Ledro (Trentino), oppure vi vengono sacralizzati degli edifici, come le Tre Chiese innalzate a Bad Drei Kirchen nella Valle dell’Isarco. Anche il piccolo centro di Maranza, villaggio costruito all’entrata della Val Pusteria, ha le sue tre sante dal nome misterioso e leggendario. Una tradizione antica attribuisce alle tre beate fanciulle, che vivevano in un altopiano inaccessibile ai mortali, la funzione di dee tutelari di tutta la fauna montana. E di tanto in tanto intrecciavano tragici amori con degli esseri umani. Ma questa è una leggenda profana, il lato umano del sacro. Le tre fanciulle si chiamano Aubet, Cubet e Guere, un tempo chiamate Embede-Warbede-Wilbede, sicuramente la personificazione di una triade materna celtica e assimilabili alle scandinave Urd, Werbandi e Skuld (passato, presente, futuro). In altri luoghi sono chiamate con nomi diversi ma hanno sempre le stesse caratteristiche.
L’artista Barbara Cappello è rimasta affascinata da queste tre donne che mutano nel tempo e nello spazio mantenendo però sempre gli stessi attributi. Con la delicatezza delle sue opere, fatte di carta, colore e filo – il filo-trama che tiene assieme la vita e che lega le stesse tre dee-sante ai fedeli – narra le sensazioni che questo mito ha suscitato nel cuore prima che nella mente. Per lo Spazio Atelier l’artista ha predisposto appositamente una serie di lavori inediti, opere che delineano percorsi tra realismo, sogno, simbologia e folklore.
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