Eleonora Lo Bianco, 37 anni a dicembre, si riprende la “sua” nazionale e a Rio disputerà la quinta Olimpiade: “Ho sempre giocato per questa maglia ed ho fatto di tutto per poterla indossare”
Non è un richiamo dell’ultimo minuto come tanti altri. La nazionale femminile di volley ritrova alla vigilia olimpica inaspettatamente la regista “di sempre”, quella che ha legato indissolubilmente il suo nome alla storia della maglia azzurra. Ogni titolo e trofeo conquistato porta la sua firma. Eleonora “Leo” Lo Bianco non ha mancato un traguardo, un torneo, un ritiro della nazionale fin dall’esordio, giovanissima, nel 1998. La promozione a titolare arriva nel 2002: ed è stato subito titolo mondiale. Da li la nazionale cambia tanto, si rinnova. Ripartendo sempre da lei: la maglia numero 14 ha da allora una sola ed unica padrona. Ha il record assoluto di presenze in azzurro, 544. Mai nessuno come lei, in nessuno sport.
Questa volta sembrava rassegnata a guardare da casa le sue giovanissime e talentuose eredi alle prese con i Giochi Olimpici. E invece, come già è successo per i mondiali del 2014, a sorpresa, all’ultimo minuto, su quell’aereo sale anche lei. Una lunga storia, ricca di soddisfazioni, che sembra non voler finire quella con la maglia azzurra:
“Si, sono ancora qui – sorride la regista piemontese dal ritiro di Cavalese – e questa cosa un po' è strana ma dall’altra mi rende orgogliosa. Ho sempre giocato per questa maglia ed ho fatto di tutto per poterla indossare. Il fatto di essere qui dopo così tanti anni mi emoziona ancora. Mi è capitato già due volte di arrivare “da casa” senza preavviso. Nel 2014 per una scelta tecnica dell’allenatore. Quest’anno la scelta era mia, per una difficoltà fisica più che altro. Poi le cose hanno preso una piega diversa e anche questa volta non ho saputo rifiutare questa maglia”.
544 presenze. Una striscia record e destinata ad allungarsi. Vuol dire non solo esordire da giovanissima, ma anche esserci sempre. Quanto logora un percorso così lungo in azzurro?
Fa un po’ effetto guardare alle partite giocate, anche perché sono solo quelle in nazionale. Se ci aggiungiamo il club… Sì, logora tantissimo, ma io nella mia testa ho sempre avuto quella di percorrere una strada e non fermarmi. Poi arrivi a 36 anni e mezzo che sei purtroppo usurata. Un’estate in nazionale dopo tutta la stagione è dura da sopportare. Ha dei lati positivi, altri negativi. Io ho scelto di fare così e penso lo rifarei. Chiaro che adesso, come ho fatto quest’estate, devo gestirmi altrimenti non riesco a fare tutto.
C’è un altro parallelo tra te e l’azzurro. La tua quinta Olimpiade è in assoluto la quinta partecipazione della nazionale ai giochi.
Nel lontano 2000 a Sidney, era la prima volta che l’Italia si qualificava. Un traguardo storico. Poi ogni volta è stato importante arrivare a disputare questa manifestazione che è la più prestigiosa e la più bella che ci sia. Sono qui, alla quinta volta e… è bellissimo!
Da Sidney sono cresciute le aspettative e anche le delusioni. Da Rio cosa ti aspetti?
A Sidney non eravamo una squadra all’altezza di chi ci arrivò davanti. Per Atene, Pechino e Londra forse c’è qualche rammarico in più: potevamo andare più avanti di quei quarti di finale. Meritavamo di più e non ci siamo riuscite. Ora sono qui, con una squadra che può fare molto bene, come non può farlo. Ha talento e potenziale, con giocatrici esperte affiancate da giovani fortissime, cresciute tantissimo durante la stagione e anche qui le ho ritrovate ancora più mature. Mancano forse quelle piccole cose, meccanismi che scattano giocando anni insieme che altre squadre hanno già. Se saremo brave a colmare questo piccolo gap possiamo toglierci qualche bella soddisfazione. Non dimentichiamo che a Rio abbiamo un girone di ferro, difficilissimo. Non possiamo neppure partire con calma e cercare l’intesa. Bisogna giocare subito dando tutto. Cinque partite da giocare a denti stretti. Non si può sottovalutare nessuno.
Sarà l’addio alla nazionale stavolta?
Il tornare a giocare in Italia proprio nell’anno olimpico portava un po’ con sé anche il sogno di poter essere qui a Rio?
No, è stata una scelta per me stessa. Ho giocato 4 anni all’estero ed era un’esperienza che volevo fare. Al tempo stesso vorrei chiudere la carriera in Italia e quindi ho deciso di tornare. A stagione in corso, guardando alle Olimpiadi, mi sono accorta che dovevo fare un po’ di scelte. Io ho fatto il percorso che hanno fatto loro, per qualificarsi. So cosa vuol dire. E non l’avrei retto, sono onesta. E mi dispiace perché nessun atleta è disposto ad ammettere di essere “vecchietto”. Però è così, bisogna essere realisti e decidere se fermarsi di qua o di la.
Quindi quasi un regalo inaspettato? È bello e giusto che una carriera così trovi un finale degno, con un grande appuntamento. Un premio per tutto quello che hai dato…
Un regalo, si. Perché io avevo rifiutato, motivando la rinuncia a Marco (Bonitta, il selezionatore dell’Italvolley femminile, nrd) e alla Federazione. Non era un tirarmi indietro dalla nazionale ma proprio un dover accettare di non poter fare tutto. Ed ovviamente non ho mai chiesto di saltare le qualificazione e giocare poi l’Olimpiade, non l’avrei mai fatto. Non fa parte di me. Ma quando a fine giugno è arrivata la chiamata, ho visto il nome di Marco ed ho sentito cosa voleva non ce l’ho fatta a dire di no. Ho fatto due conti: il tempo non è molto, ma sufficiente e un mese di allenamenti posso reggerlo. E mi sono detta: ok, io vado!
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