Dopo tre giorni di discussioni, le organizzazioni sociali riunite dal 7 al 9 luglio nel secondo Incontro mondiale dei Movimenti Popolari a Santa Cruz de la Sierra in Bolivia (il primo si era tenuto in Vaticano lo scorso ottobre) hanno elaborato il loro documento finale, la “Carta de Santa Cruz”. Hanno partecipato circa 1500 persone di organizzazioni di 40 Paesi. Papa Francesco li ha raggiunti il 9 luglio; nel suo discorso ha chiesto loro perseveranza nell'impegno di lotta per i cambiamenti strutturali necessari a garantire i diritti fondamentali (terra, casa e lavoro), affermando che sono urgenti trasformazioni profonde.
La Carta di Santa Cruz sostiene, in linea con il pensiero del Papa, il superamento a livello globale di sistema – sociale, politico, economico e culturale – incapace di garantire i diritti per tutti, “che mina la pace tra le persone e mette a rischio la stessa sopravvivenza della Madre Terra”. “Il nostro grido, il grido dei più esclusi e marginalizzati – scrivono i movimenti sociali – obbliga i potenti a comprendere che non si può continuare così. I poveri del mondo si sono sollevati contro l'esclusione sociale che soffrono quotidianamente. Non vogliamo sfruttare, né essere sfruttati. Non vogliamo escludere né essere esclusi. Vogliamo costruire un modo di vita nel quale la dignità innalzi sopra tutte le cose”.
Per questo il documento consiste in una serie di impegni, volti a “stimolare e approfondire il processo del cambiamento.
Consapevoli che le problematiche sociali e ambientali sono due facce della stessa medaglia, le organizzazioni sociali si impegnano a “vivere in armonia con la Madre Terra”, lottando per proteggerla, lavorando per leggi ambientali in tutti i paesi sulla cura dei beni comuni e “promuovendo l'ecologia integrale di cui parla il papa”. Il documento richiama l'attenzione sulla necessità di una “riforma agraria integrale per distribuire la terra in modo giusto e equo”, garantendo a tutti i popoli la sovranità alimentare. Si rifiuta con forza “la proprietà privata dei semi da parte dei grandi gruppi industriali”, l'inquinamento causato dai veleni agricoli e “l'introduzione di prodotti transgenici, che distruggono la biodiversità”, riaffermando invece “la difesa delle conoscenze tradizionali dei popoli indigeni in relazione all'agricoltura sostenibile”.
Sul fornte del lavoro, l'impegno è volto alla “progettazione e realizzazione di politiche che restituiscano a tutti i diritti eliminati dal capitalismo neoliberista, come il sistema di sicurezza sociale, le pensioni e il diritto di sindacalizzazione”. C'è poi l'invito ai governi a stabilire “forme di regolarizzazione che eliminino il lavoro schiavo, il traffico di esseri umani e lo sfruttamento del bambini”, con la richiesta di sostenere gli sforzi che provengono dalle basi sociali.
Un capitoletto è dedicato alla libertà di espressione e all'accesso all'informazione. Scienza e tecnologia devono essere “a servizio dei popoli”, così come la conoscenza e le università, a cui si rimprovera di inseguire spesso l'interesse di pochi.
A partire dalla “vocazione pacifica dei nostri popoli”, i movimenti sociali si impegnano a “lottare contro qualsiasi forma di discriminazione” (con una condanna esplicita al maschilismo e alla violenza sulla donna), contro qualsiasi tipo di aggressione militare”, e a “costruire la pace e la cultura dell'incontro”, intensificando “le azioni collettive che garantiscano la pace tra tutte le persone, i popoli, le religioni, le etnie e le culture”.
“Condanniamo qualsiasi tipo di aggressione militare”, “rifiutiamo l'imperialismo e le nuove forme di colonialismo, militari, finanziarie o mediatiche”. Ancora: “Respingiamo il consumismo e la cultura dello spreco” e “sosteniamo la solidarietà come progetto di vita, personale e collettiva. Ci impegniamo a lottare contro l'individualismo, l'ambizione, l'invidia e l'avidità che si annidano nella nostra società e spesso in noi stessi”. “Continuermo a lavorare per costruire ponti tra i popoli che ci permettano di abbattere i muri dell'esclusione e dello sfruttamento”.
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