La figura di dom Helder, vescovo dei poveri, ricordata a Trento dal suo collaboratore dom Marcelo Barros

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“La sua eredità consiste nello scoprire la profezia come vocazione di tutti. Contro l'individualismo, per vivere con amore e misericordia”

"Amava stare con i giovani, li incontrava ogni giovedì e suonava la chitarra con loro, parlava, faceva teatro: ho capito che aveva uno spirito predisposto all'accoglienza e all'ascolto, non a insegnare ma ad imparare".

È solo uno dei tanti aspetti della personalità di Hélder Camara (1909-1999) ricordati da dom Marcelo Barros, monaco benedettino brasiliano, suo collaboratore nella pastorale giovanile e dell'ecumenismo, priore del Monastero dell'Annunciazione del Signore, nella città di Goiás (Brasile), nell'incontro dedicato a "Hélder Camara, vescovo dei poveri, verso la beatificazione", promosso da Rete Radiè Resch, Associazione Tremembé Onlus, Associazione Viração & Jangada, Associazione Dom Franco Onlus svoltosi giovedì 11 maggio al Vigilianum, a Trento.

Camara, vescovo di Recife negli anni duri della dittatura militare, durante il Concilio Vaticano II fu tra i fautori di quella che sarebbe stata chiamata "opzione preferenziale per i poveri", anticipando lo stile di Papa Francesco e rappresentando lo spirito evangelico della Chiesa quando i tempi non erano ancora maturi perché venisse compreso. Amatissimo dal popolo per la sua azione a favore degli ultimi, contro l'ingiustizia e la miseria, lottò per costruire una Chiesa povera e per i poveri, scontrandosi con l'ostilità della gerarchia vaticana – "Quando io do da mangiare a un povero, tutti mi chiamano santo. Ma quando chiedo perché i poveri non hanno cibo, allora tutti mi chiamano comunista" -, ma ora sta per essere avviata la causa di beatificazione.

Marcelo Barros è stato ordinato sacerdote da Camara e lo ha conosciuto da vicino: "Chi è Hélder Camara? Lui stesso, quando glielo domandavano, rispondeva: sono un essere umano che ha scoperto la fede cristiana come strumento di umanizzazione. La teologia non può essere un esercizio intellettuale che non ha alcuna incidenza sulla vita: ogni teologia cristiana è per la liberazione, altrimenti non è cristiana ed egli può essere considerato a pieno titolo precursore della Teologia della Liberazione".

Quale può essere il valore racchiuso nel ricordare una figura come quella di Camara? "La sua eredità consiste nello scoprire la profezia come vocazione di tutti, ma non cadendo nella visione idealista e mitica che considera i profeti eroi che danno la vita o conoscono ogni cosa: essi sono persone che ascoltano la parola di Dio cercando di testimoniare il suo amore per noi. Papa Francesco parla di Chiesa in uscita, Camara parlava di Chiesa pasquale, alludendo al significato della Pasqua, che è passaggio, esodo e perciò implica l'essere in cammino, in sintonia con il pensiero di Bergoglio".

Egli scriveva ogni giorno una lettera a gruppi di laici convinto che non potevano avere una missione profetica se privi di preparazione adeguata. "Oggi la profezia è incarnata non da una persona, ma dalle comunità, dai movimenti per la pace, per il mercato equo solidale, per la giustizia, per l'uguaglianza e la lotta contro la povertà. Prevale però l'incapacità di leggere i segni dei tempi e di vivere la fede non isolata dalla realtà o contro la realtà, ma inserita in essa". Il mondo è migliore quando un piccolo che soffre inizia ad aiutare un altro piccolo: "Un nuovo mondo è non solo possibile, ma necessario. Le ultime parole che Camara mi ha consegnato sono state: Non lasciar cadere la profezia. Sono le parole della speranza contro l'individualismo, per vivere con amore e misericordia". E proprio per non disperdere questa preziosa eredità spirituale, Barros ha scritto "Hélder Camara. Il dono della profezia (Edizioni Gruppo Abele, 2016), non una biografia, ma la testimonianza di un discepolo e stretto collaboratore, intrecciata alla storia, piena di luci e di ombre, della Chiesa latinoamericana negli ultimi decenni del secolo scorso.