La campagna elettorale volge alla fine e non crediamo sarà rimpianta. I dibattiti e la propaganda in genere sono stati di basso livello, più che altro orientati a demonizzare gli avversari ed a promettere uno o più miracoli se si otteneva il voto. Non stupisce dunque che la coda finale abbia visto un crescendo di esasperazioni, abbondantemente sostenute dai talk show che essendo ormai tantissimi hanno bisogno di farsi concorrenza mettendo in scena la zuffa continua.
Cosa produrrà tutto questo? Anche tra gli osservatori più scaltriti vige la perplessità. I sondaggi non si possono divulgare, ma circolano eccome (ne abbiamo ricevuti persino noi). Il dato più sconvolgente e che si può dire senza violare nessuna legge è la permanenza fino a qualche giorno fa di una fascia di indecisi e astenuti molto alta, stimata addirittura fra il 37 e il 42%. Siccome si dà per scontato che almeno una parte di questi alla fine si convincerà a recarsi alle urne, ce n’è abbastanza per sognare ogni tipo di risultato gradito.
Letta si aspetta un risultato brillante per il PD se non addirittura una semi-vittoria. Conte che M5S sia in grande risalita e che potrebbe davvero essere il terzo polo. Il duo Calenda-Renzi è fiducioso di andare in doppia cifra. Meloni si vede già alla testa di un partito ampiamente primo. Salvini asserisce che la Lega farà molto meglio di quel che viene accreditata. Berlusconi è il più perplesso, si vocifera che FI sia in notevole calo, ma sostiene che invece sarà in grado di essere forza determinante nella coalizione di centrodestra.
Quel che si può dire è che l’umore dell’elettorato è molto mobile e non si capisce se dalle urne uscirà una maggioranza in grado di governare per un periodo significativo o se davvero la situazione si rivelerà così intricata da dover ricorrere ad una qualche formula di governo di emergenza. Se non una replica della quasi unità nazionale (ci sembra bruciata) l’invenzione di un qualche tipo di “grande coalizione” sul vecchio modello tedesco, una formula che prenda un po’ di centrodestra e un po’ di centrosinistra e li costringa a varare un programma comune.
In Germania il modello ha funzionato, ma a noi manca la serietà necessaria per garantire che poi tutti stiano ai patti, ma soprattutto ci manca il retroterra, perché mettere insieme forze che hanno passato mesi a dipingersi reciprocamente come il peggio ed a giurare che mai si sarebbero accordate è difficilissimo. Non tanto per le resistenze delle varie classi politiche (ci sono, ma è poi gente che alla bisogna trova il modo di metterle da parte), quanto per l’ulteriore colpo di credibilità che riceverebbe il mondo politico di fronte ad elettori che li hanno votati credendo alle loro incompatibilità reciproche.
Il fatto è che il tempo per smussare gli angoli, per seppellire le mitiche asce di guerra, per costruire un programma comune non ci sarà. Nel 2018 ci vollero mesi per arrivare a formare il governo. Le elezioni si erano tenute il 4 marzo, il governo Conte I entrò in carica il 1° giugno: fa grosso modo tre mesi. Replicare qualcosa di simile significherebbe questa volta avere il nuovo governo poco prima di Natale, cioè avere il Paese in esercizio provvisorio mancando la nuova legge di bilancio che deve essere varata entro il 31 dicembre e che non si può certo approvare alla svelta durante le vacanze natalizie.
Il problema essenziale che si presenterà a partire dal 26 settembre è infatti proprio questo: il nuovo governo, che comunque per poter essere varato ha bisogno di una serie di atti preliminari (nomina dei vertici parlamentari, formazione dei gruppi, consultazioni, ecc.) destinati ad occupare come minimo un mesetto, dovrà alla svelta presentare alle Camere e far approvare la legge di bilancio.
Qui, come si dice volgarmente, cascherà l’asino, perché quelle cifre metteranno subito a nudo da un lato quel che non si può mantenere delle fantasmagoriche promesse elettorali e dall’altro quel che si dovrà chiedere di “sacrifici” per far quadrare i conti. Chi pensa che si possa giocare coi numeri ha già dimenticato quanto avvenne nel 2018 allorché si partì promettendo di non tenere conto di quel che chiedeva l’Europa e si dovette poi adeguarsi per non finire stritolati dai mercati che detengono una buona parte del nostro debito.
Ora quel che esamineranno i mercati in questa tribolata fine del 2022 sarà proprio l’impianto della nostra legge di bilancio e se non la troveranno solida il nostro spread schizzerà in alto e ci troveremo in grandi difficoltà a cominciare dalla gestione del PNRR. Chi pensa che sia tutto un giochetto di incastro fra percentuali e numeri dei seggi non sa come funziona il mondo.
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