Nel suo ultimo testo il vescovo emerito di Ivrea e fondatore di Pax Christi, vede attuarsi nel pontificato di Bergoglio un dettato eminentemente conciliare.
I poveri, gli ultimi, le periferie, espressioni oggi familiari non dovrebbero costituire una sorpresa: per restare nell'età contemporanea, basta ritornare a quel movimento sorto negli anni del Concilio che si può indicare con il termine di “Chiesa dei poveri”, un movimento che, almeno negli ultimi anni, «sembrava un po’ assopito».
Per il più giovane vescovo al Concilio, ora 92enne, rappresenta quasi un impegno morale raccontare quegli eventi, a partire dal cosiddetto “Patto delle catacombe”, sottoscritto nel 1965 da quanti si impegnavano, da pastori, ad una scelta di povertà.
Se nel dopo-Concilio la Chiesa occidentale ha imboccato tutt’altra direzione, il documento di Aparecida, cui ha contribuito l'allora arcivescovo di Buenos Aires, ne rappresenta invece il manifesto programmatico. I cui contenuti si ritrovano direttamente nelle parole e nei gesti di Papa Francesco, uno stile di Chiesa – denuncia con una certa amarezza – «come noi, vescovi del Concilio, non siamo riusciti a fare».
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