Continua la fase di grande fibrillazione della nostra politica. Per la verità è qualcosa che interessa circoli ristretti della vita istituzionale, la nostra impressione è che il cosiddetto largo pubblico si mantenga estraneo a quelli che appaiono giochi difficili da comprendere.
Certo c’è il quadro internazionale che è preoccupante dopo la nuova impostazione che Trump ha dato alla politica americana. Si tratta però di uno scenario così cervellotico e bizzarro che neppure gli specialisti capiscono se sia l’espressione di una strategia meditata o semplicemente un gioco di specchi e provocazioni per disorientare tutti e alla fine portare a casa una soluzione imprevista. Si tratta di un bel problema per tutti i gruppi dirigenti europei, problema che per quelli di casa nostra è anche più grande perché la premier sembra avere deciso di mettersi sulla scia dei cambiamenti vagheggiati da The Donald.
La situazione si complica per l’incertezza che domina in Europa, che sarebbe uno dei soggetti che l’attuale inquilino della Casa Bianca mira a disgregare: forse, perché poi a volte dice di vederla in un altro modo. Sta di fatto che sempre l’Italia si trova in Europa in una strana condizione: da un lato ha una stabilità di governo che potrebbe agevolarla nell’avere un ruolo dirigente in un contesto in cui si incrociano molteplici debolezze; dall’altro lato per rafforzare questa posizione avrebbe bisogno di un sostegno americano che può ottenere solo accettando un certo vassallaggio con i nuovi signori d’oltreoceano.
Questo contesto dissemina nella nostra politica un bel numero di trappole. In politica estera i partiti sono sparpagliati su molte posizioni diverse e contraddittorie fra loro, il che rende problematiche tutte le coalizioni, grandi o piccole, strette o larghe che vogliano essere.
Del resto non è neppure più tanto vero che in Europa l’Italia abbia una leadership governativa forte mentre gli altri sono in difficoltà. Proprio grazie ai fuochi di artificio di Trump, il presidente francese sta riguadagnando una leadership che sembrava impossibile dopo quel che era successo nel suo paese lo scorso anno: ottiene ora un certo avallo da non sottovalutare da parte della Gran Bretagna e anche la Germania dopo l’esito del voto di domenica scorsa si avvia probabilmente a riprendere una posizione determinante. Se questo è vero, la posizione di Meloni si indebolisce, perché il presidente USA diviene meno interessato ad avere un “pontiere” con il vecchio caos della UE e più propenso a trattare con i leader di quei paesi del vecchio continente che possono mettere in campo risorse apprezzabili sia sul piano militare che sul piano economico (e questo non è il caso dell’Italia).
Sul fronte interno la tenuta della situazione è tutt’altro che garantita. Il destra-centro rimane al potere perché le opposizioni non sono in grado di mettere in campo una forza sufficiente a farlo cadere. Come sempre, per ottenere un risultato del genere sarebbe necessario che esse fossero in grado di scompaginare la coalizione governativa. Questo può apparire facile se si considera che le forze che sostengono l’attuale governo sono poco coese, sia fra di loro che al loro interno. Salvini non demorde dall’essere la spina nel fianco della Meloni, ma ha problemi all’interno del suo partito dove cresce la componente che lo considera responsabile del calo costante di consensi. Meloni è molto forte in FdI, ma nonostante ciò è costretta a tenersi una figura imbarazzante come la ministra Santanché che deve addirittura sostenere in parlamento. FI è in difficoltà per il suo essere una forza moderata di centrodestra intenzionata a rafforzare la sua immagine in questo senso dopo l’affermazione della CDU-CSU in Germania, successo che si rifletterà sul PPE. Un suo punto di riferimento piuttosto importante come Marina Berlusconi la invita a distinguersi decisamente dai furori destrorsi della maggioranza. Tuttavia il partito di Tajani non saprebbe dove andare se rompesse con Lega e FdI.
Del resto questo è il problema del momento: i partiti sono finiti tutti nella trappola della reciproca scomunica (feroce e continua) per cui non si vede come con la caduta del governo Meloni si potrebbero ricomporre i pezzi. Di conseguenza inizia a farsi strada la convinzione che forse la soluzione potrebbe essere trovata in un nuovo bagno elettorale (anticipato): sarebbe, ancora una volta!, il modo per illudersi che non si sa quali movimenti interni all’elettorato possano ridistribuire le carte in modo da far venire fuori quella soluzione del rebus che nessuno riesce a costruire.