Fermiamo la radicalizzazione dello scontro politico

La prima pagina del quotidiano il Resto del Carlino del 12 novembre

Una volta di più nella storia recente sembra che ci avviamo sulla china della pseudo guerra civile a parole. È una strada pericolosissima, diciamolo senza infingimenti. I segnali erano già molteplici, ma tutto si è ulteriormente imbarbarito con gli scontri accaduti a Bologna. Naturalmente c’è il perverso effetto dell’eco della vittoria di Trump nelle elezioni americane, che ha convinto quasi tutti che la demagogia, anche quella più becera e insopportabile, paga. Lo si è fatto, anche questo va detto, tanto a destra, quanto a sinistra, poi ci sono quelli che si spingono oltre ogni limite di decenza come, tanto per non far nomi, il ministro Salvini, o chi, come la vicesindaca di Bologna, va a partecipare alla manifestazione degli antagonisti dove ci sono quelli che con le spranghe fronteggiano la polizia.

Il problema però è serio ed estremamente preoccupante. Per mobilitare un po’ di voti, perché in Emilia Romagna il terrore di una bassa partecipazione elettorale è molto forte in entrambi gli schieramenti (si vota domenica e lunedì), si alzano i toni e per stare sul sicuro si ripescano le parole d’ordine del passato, per di più di un passato non proprio esemplare. Anche qui c’è una ragione banale che si dice poco: gran parte dell’elettorato è anziano, i giovani che si mobilitano, a parte una minoranza di fanatici, non sono molti: mancano i canali di raccolta e di formazione per il ricambio, per cui prevalgono o la voglia di comunque ribaltare il tavolo, o la fuga nel privato, possibilmente alla ricerca di una buona allocazione nella società della ricchezza.

Agli anziani (di parte) bisogna suonare la musica che risveglia i loro ricordi… Discutere dei problemi con pacatezza e con profondità si pensa che non porti consenso. Facciamo un esempio banale. L’ultima sentenza dei giudici romani che respinge la possibilità di portare in Albania migranti clandestini per sottoporli lì alle procedure di controllo sul loro titolo ad essere accolti appare, per quel che se ne è letto sui giornali, meglio scritta e più solida delle pronunce precedenti. Specifica infatti che sia necessario esaminare il diritto individuale all’accoglimento per protezione a prescindere dal fatto che il Paese di provenienza sia astrattamente “sicuro” e conclude che al termine della procedura il migrante senza titolo può essere legittimamente respinto. Questo è più che ragionevole, a nostro modesto avviso non servirebbe neppure rifarsi a pronunce della Corte Europea. Il tema però andrebbe ulteriormente sviluppato. L’esame della titolarità del singolo ad un diritto d’asilo deve avvenire in tempi ragionevoli, con garanzie di riesame, ma senza che questo nel nostro contorto sistema giudiziario implichi periodi biblici. Però durante questo esame non si vede perché il soggetto, che non è ancora titolare di quel diritto, debba essere lasciato libero di andarsene in giro come vuole, perché si sa bene che spesso succede che il migrante irregolare si dilegua, oppure che per sopravvivere in questa condizione senza possibilità di trovare modo di sistemarsi sia spinto ad arrangiarsi come può, fino a limiti che non dovrebbero essere valicati.

Detto questo, poi si può discutere, ma è materia politica e non giuridica, se il costo di costruire luoghi di trattenimento del richiedente asilo fuori del territorio nazionale sia una soluzione efficace ed economicamente razionale, proponendo invece serie e percorribili alternative. Altrettanto si dovrebbe evitare di fare un mescolone fra immigrazione regolare, di cui c’è bisogno e che funziona anche spesso molto bene, e immigrazione clandestina che soggiace, oltre tutto, ad un pericolo di spazio per la criminalità. Non si dovrebbe evitare di investire in politiche di integrazione, a partire da quelle verso i minori da scolarizzare e da portare alla cittadinanza, ma più in generale verso tutti per superare la tesi, insostenibile, che a chiunque deve essere consentito di continuare nei propri “costumi” anche quando questi sono retaggi di culture arretrate da noi superate da tempo.

Una politica seria, conservatrice o progressista che sia, su questo dovrebbe dibattere e lavorare a trovare soluzioni percorribili. Usare questo, ma anche tanti altri argomenti delicati, come randelli demagogici serve ad indebolire le capacità di reazione del nostro Paese nei confronti del cambiamento con cui dobbiamo fare i conti. La democrazia deve essere confronto e non scontro all’ultimo sangue: l’opinione pubblica deve pretenderlo da tutti i politici, senza fare sconti a nessuno.

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