Lo spunto
Quest’anno, in occasione della Giornata dell’Autonomia che si svolge il 5 settembre, anniversario della firma del Patto Degasperi-Gruber avvenuta a Parigi nel 1946, il segretario del Patt Marchiori ha riproposto l’istituzione di un Centro Studi proprio all’Autonomia dedicato. Un’analoga proposta era stata avanzata l’anno prima dall’attuale presidente della Provincia Fugatti incontrando però una larga opposizione di cui s’era fatto portavoce il PD, con la consigliera Lucia Maestri che ha presentato un’interrogazione (“A che cosa serve un Centro Studi per l’Autonomia?”) per richiedere le ragioni scientifiche del Centro Studi, la sua mission e, soprattutto, quali costi saranno a carico del bilancio pubblico. Ma il cuore dell’interrogazione era conoscere l’utilità di un ente che si occuperà di temi su cui operano già, sottolineava la consigliera, realtà come l’Università, la Fondazione Museo Storico e Fondazione Bruno Kessler.
Le ragioni che avevano portato il PD trentino a contestare il Centro Studi proposto da Fugatti rendono ancor più sconsigliabile oggi anche la proposta del segretario politico del Patt per la situazione confusa portata dalla nuova legge sulle autonomie differenziate e l’annunciato possibile referendum relativo. Le autonomie sono un tema troppo serio e delicato per fare da ornamento, quasi una piuma sul cappello, al marketing elettorale a questa o quella forza politica. Alle autonomie, soprattutto alle Speciali come sono il Trentino e l’Alto Adige, servono persone preparate e azioni politiche coerenti, serve riscoprire la loro funzione originaria e ritrovare uno stile condiviso, non essere strumentali a “riforme” che poi, come è nell’attuale situazione politica, si trovano magari prive di supporti e del consenso necessario alla loro applicazione (sarebbe il caso, per il Trentino-Südtirol, del “terzo statuto” che nessun Parlamento, attuale o prevedibile, approverebbe mai).
Non si tratta quindi di escogitare nuove soluzioni o richiedere nuove competenze, ma di ribadire i principi ispiratori delle autonomie speciali e applicare poi con coerenza comportamenti tali che le rendano esempi nazionali di buona amministrazione dei territori, con stile di misura e sobrietà, e al tempo stesso segni (“profezia”, si potrebbe dire con un termine che l’arcivescovo Maffeis ha usato a Pieve Tesino per connotare l’impegno di testimonianza di Alcide De Gasperi), ovvero avanguardie di strade da intraprendere per il futuro.
Gli uomini esperti e consapevoli esistono, ed a loro andrebbero richiesti, pareri, consigli e partecipazione, senza costringerli entro “Centro Studi” che inevitabilmente, anche loro malgrado, riflettono il colore politico di chi li propone e sostiene e si prestano quindi anche a contrasti e contestazioni basate più su questioni di parte che di sostanza.
L’autonomia trentina può attingere i suoi uomini ancora fra chi l’ha costruita (il sen. Giorgio Postal fu segretario della Commissione dei 19 che preparò il Pacchetto), nel mondo universitario (due nomi su tutti, in ambiti diversi, sono i professori Toniatti e Quaglioni), per non citarne numerosi altri fra i massimi esponenti della burocrazia pubblica – come Gianfranco Postal – o fra componenti degli enti di ricerca: FBK, Euricse con Gianluca Salvatori, IAI con Gianni Bonvicini… Ma esiste poi un’opinione pubblica attenta e motivata che esprime l’urgenza su problemi attuali e di un comune sentire sempre diffuso che conferma quasi quotidianamente come i rapporti fra Trento e Bolzano siano avvertiti come sempre più stretti e necessari.
Certo, non sotto il profilo istituzionale e amministrativo della Regione, ma nei rapporti fra realtà economiche, come, parzialmente sta già avvenendo con le mele, come potrebbe verificarsi con le nuove forze lavoro in campagna, per sburocratizzarle e incentivarle… e come sarebbe auspicabile nella viabilità turistica e nella cooperazione, benché fra le due Province vicine le situazioni siano ben diverse. Ma le autonomie sono state proprio per tener conto delle diversità in una cornice (la ”frame” nel Patto Degasperi – Gruber) che le comprenda e le condivida, una “frame” che la storia si incarica sempre di riproporre, anche in contesti mutati e che la politica non dovrebbe forse gestire, bensì promuoverne le condizioni perché risulti efficace e persuasiva. È qui che si apre uno spazio grande per una nuova politica autonomista e il primo passo dovrebbe o potrebbe riguardare l’intensificazione dei rapporti e delle conoscenze personali. Un tempo non lontano, i rappresentanti dei consigli provinciali, di lingua italiana e tedesca, si conoscevano direttamente, si incontravano e si parlavano sui corridoi della Regione o dei palazzi dove si tenevano i consigli. Oggi ciò avviene sempre più raramente.
A tal proposito, tempo fa Paolo Magagnotti, che era capo dell’Ufficio Stampa della Regione e che aveva intessuto, a Vienna, una fitta rete di contatti personali con esponenti della politica, della diplomazia e del governo austriaci, avanzò una proposta che a prima vista poteva sembrare paradossale e provocatoria, ma che in realtà era improntata a un realistico buon senso. Perché, si era chiesto, i consiglieri delle due Province di Trento e Bolzano, al termine delle loro sedute comuni, si disperdono per la pausa-pranzo? Perché piuttosto, in queste occasioni, non organizzare un pranzo comune, magari in paesi diversi del Trentino e dell’Alto Adige, in modo che i consiglieri possano incontrarsi personalmente, conoscersi, parlarsi, oltre che conoscere i propri territori?
Le autonomie, insomma, hanno bisogno di calarsi nelle persone, non di essere solo istituzione, e questo porta a un’altra riflessione. A considerare un errore (politico) la decisione della Provincia di Trento di delegare “in toto” a Bolzano la trattativa con Roma e con il governo sul passaggio essenziale di una necessaria “intesa” sulle competenze da esercitare. Bene la prova di fiducia e collaborazione verso Kompatscher che così si manifesta, ma certo meno bene il fatto che con questa decisione l’autonomia del Trentino sembra porsi e apparire in posizione secondaria, residua e subordinata rispetto a quella sudtirolese, mentre storicamente – dal “Degasperi-Gruber” al Pacchetto – proprio l’opposto si è verificato. E poi perché così si preclude ai quadri della burocrazia trentina di confrontarsi direttamente e di conoscere anche personalmente i colleghi romani, con i quali poi dovranno discutere in sede di Commissione dei 12.
Meno Centro Studi e più rapporti personali, a Bolzano e Trento, Roma e Bruxelles: questo potrebbe essere un buon proposito.
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