22 settembre 2024 – Domenica XXV Tempo Ordinario B
Sap 2,12.17-20; Gc 3,16-4,3; Mc 9,30-37
«La sapienza che viene dall’alto anzitutto è pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, imparziale e sincera. Per coloro che fanno opera di pace viene seminato nella pace un frutto di giustizia» (Gc 3,17-18).
Il breve brano tratto dalla lettera di san Giacomo ci offre le categorie per riflettere sull’intera serie delle letture di questa domenica. Secondo uno schema classico della riflessione sapienziale vengono contrapposti due atteggiamenti umani divergenti e in contrasto tra loro, da un lato troviamo lo spirito di contesa e dall’altro lo spirito di sapienza. Se è lo spirito di contesa a prevalere, le azioni che ne derivano sono malvage, causano un continuo scontro, dentro la persona e tra le persone, prevalgono atteggiamenti quali l’invidia, l’avidità, la passionalità. E il conflitto interpersonale degenera facilmente in conflitto sociale e quello sociale in guerra. Se invece è lo spirito di sapienza ad orientare la vita allora le azioni della persona sono sulla lunghezza d’onda dell’agire di Dio e producono frutti di pace: «La sapienza che viene dall’alto è anzitutto pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, imparziale e sincera» (Gc 3,17).
Questa lotta tra lo spirito di contesa e lo spirito di sapienza parte da lontano, dalle pagine iniziali della Bibbia, che narrano, attraverso il racconto di Caino e Abele (Gn 4,1-16), l’introduzione della violenza e dell’omicidio nella storia raccontando come la gelosia porti al fratricidio. Molte pagine bibliche raccontano l’esito mortale del desiderio di soddisfare la passione personale (la vicenda di Davide e Betsabea, narrata in 2 Sam 11) o l’avidità (la vicenda di Acab e Nabot in 1 Re 21), o il desiderio politico di rivendicare un territorio (la morte di Acab in 1 Re 22). Come leggiamo nella prima lettura di questa domenica, coloro che sono irretiti nello spirito di contesa tramano contro il giusto perché la sua stessa esistenza è per loro un rimprovero insopportabile.
Nel vangelo lo spirito di contesa si è insinuato nel gruppo stesso dei Dodici, i quali – dopo che Gesù ha preannunciato per la seconda volta la sua passione, morte e risurrezione – discutono su chi sia tra loro il più grande. Gesù propone allora il servizio reciproco e l’accoglienza reciproca come antidoto sapienziale allo spirito di contesa e di potere, come strumento di vittoria su di esso. L’epilogo biblico di questa lotta tra la stoltezza e la sapienza lo troveremo nel libro dell’Apocalisse lì dove si presenterà con linguaggio simbolico la vittoria di Cristo e della Chiesa sul male, sul peccato e sulla morte. Una vittoria non ancora compiuta nella nostra storia.
Come cristiani non dobbiamo aver paura di denunciare la stoltezza di ogni conflitto: sia quello interpersonale che nasce da passioni personali, sia quello sociale che nasce spesso da ingiustizie a carattere economico, sia quello tra stati, che si chiama guerra, e produce esiti sempre più disastrosi per l’intera umanità, come profeticamente insegnava già il Concilio Vaticano II nella Gaudium et Spes: “Il progresso delle armi scientifiche ha enormemente accresciuto l’orrore e l’atrocità della guerra. Le azioni militari, infatti, se condotte con questi mezzi, possono produrre distruzioni immani e indiscriminate, che superano pertanto di gran lunga i limiti di una legittima difesa” (cfr. GS 80). Dobbiamo denunciare con la testimonianza della vita e della parola, ma anche rimanere fiduciosi nel Padre se a causa del messaggio evangelico subiremo persecuzione.
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