Europa, radicalismi versus riformismi?

La prima pagina del quotidiano l’ “Unità” di mercoledì 10 luglio

Tiene banco la riflessione su quanto è accaduto nelle ultime tornate elettorali: europee, voto in Gran Bretagna e in Francia. C’è o no il vento di destra o quanto è avvenuto di qua e di là della Manica mostra che c’è stata una sopravvalutazione della forza del radicalismo conservatore e/o reazionario?

Come sempre si può fare il giochetto di domandarsi se il bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto, si possono piegare gli eventi ad esprimere tendenze generali quando invece ci sono molte peculiarità nazionali. La domanda di fondo sembra però essere questa: in un momento di complicate mutazioni ai più diversi livelli, economici, sociali, culturali, risponde meglio alle domande del momento il radicalismo o il riformismo, di destra o sinistra che sia?

Gran Bretagna e Francia sembrano dare due risposte diverse e su queste discute la politica italiana, invero non molto lucida nell’affrontare questo passaggio storico.

Chi privilegia il versante inglese presenta il caso di una sinistra che ha vinto, anzi ha stravinto con una proposta di riformismo realista. Definirlo moderato non è esatto, perché Starmer e i suoi propongono di prendere di petto i problemi di un sistema in crisi, semplicemente lasciano perdere il condire questa proposta con gli utopismi radicaleggianti cari ad una certa tradizione della sinistra.

Chi guarda al caso francese è tentato di mettere l’accento sulla santa alleanza che si è realizzata per fermare il successo della destra radicale di Le Pen, proponendo quella strategia come paradigmatica in tutta Europa e in primis qui in Italia.

Ora la domanda ancora aperta è se una santa alleanza che si realizza più che altro nel nome della diga verso un nemico possa produrre una capacità di governo o se non sia destinata a dissolversi presto quando dovrà fare i conti con le differenti prospettive che albergano al suo interno.

Se quella coalizione è stata in grado di risvegliare le preoccupazioni verso il radicalismo reazionario dell’estrema destra, potrà comporre al suo interno la presenza di un radicalismo di sinistra non meno utopistico con quella di un riformismo consapevole che le preoccupazioni che hanno alimentato la crescita della destra hanno bisogno di risposte credibili senza avventurose fughe in avanti?

Starmer è stato avvantaggiato dal fallimento del radicalismo dei conservatori a cominciare dalle loro fantasmagoriche promesse con la Brexit, la quale ha prodotto un bel disastro economico e sociale. In altri contesti, a cominciare da quello italiano, la situazione è piuttosto diversa. In Italia al momento il governo della destra non ha prodotto un collasso sociale e men che meno economico: di questo si deve tenere conto se non si vuole abbeverarsi alle demagogie in corso. Però, come avvenne nella prima fase dei 14 anni di governo conservatore in Gran Bretagna, questa destra da un lato non è stata capace di mettere in riga le demagogie della sua ala estrema (guardare ai pasticci che sta combinando la Lega di Salvini) e dall’altro non riesce ad uscire dalle rivendicazioni di chi è frustrato da anni di marginalità, per cui adesso punta tutto a farsi valere da solo e a qualunque costo.

Ciò induce gli oppositori della coalizione di destra-centro a credere che sia sufficiente incentivare la componente “anti” per ribaltare la situazione. Le mitologie del “campo largo” si sono un po’ ridimensionate, ma solo nel senso di puntare ad una inclusione delle componenti del riformismo centrista: peraltro una attitudine più declamata che praticata veramente. Le proposte che vengono da quel versante sono più slogan che programmi d’azione, anche perché ad entrare nello specifico si incontrano subito le differenti visioni di componenti che sono al momento unite più che altro dalla loro collocazione all’opposizione.

In questo momento prevale il fascino del radicalismo che è tipico dei “duelli” politici, mentre ciò di cui il Paese ha bisogno sono progetti articolati e credibili, perché è attorno a quelli che si possono costruire delle aree ampie di consenso. Aree che debbono puntare alla società civile, liquida come si usa dire oggi, e non ai gruppi professionali che attualmente dominano non solo i partiti, ma anche vari “collateralismi” (sindacati, associazioni culturali, gruppi di pressione, ecc.).
Il salto di qualità che è necessario alla politica italiana è riporre le varie bandierine (referendum, riforme per manipolare la distribuzione del potere, occupazione di canali della comunicazione, ecc.) e accettare il confronto e la sfida reciproca sul terreno delle vere riforme necessarie per mettere il nostro sistema in grado di sciogliere i nodi che bloccano la ripresa del nostro sviluppo.

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