“Diamo voce ai cuori”, il messaggio dell’arcivescovo Tisi per la Giornata delle Comunicazioni sociali

Nel mondo dell’infosfera, nella quale siamo immersi come pesci in un acquario, la Giornata delle Comunicazioni sociali giunge ogni anno come una salutare boccata d’ossigeno. Era lo stesso cardinale Carlo Maria Martini a richiamare il paragone ittico, nel momento dell’esplosione della TV commerciale a inizio anni Novanta. Non siamo molto distanti da allora: la tecnologia digitale ci impone, di fatto, di stare dentro una bolla, nella quale le informazioni sono folate di dati, sfornati da macchine incaricate di attribuire loro un qualche significato. Scenario, senza cadere in banali censure, per molti aspetti inquietante. Di fronte al quale la Giornata, anche grazie ai preziosi stimoli annualmente offerti dal Papa nel suo Messaggio, offre l’occasione per fermarsi un attimo e ragionare. Oserei dire per abbozzare un minimo di salutare “conversione”. Da tradurre, come ci ricorda il Nuovo Testamento, non come percorso di ascesi, ma come la volontà di porsi nell’orizzonte di Gesù di Nazaret e avere una visione aperta, universale. Il contrario della “bolla” nella quale siamo costretti. O di quella in cui noi stessi andiamo a rinchiuderci, prigionieri delle nostre certezze.

Come ricordavo ai giornalisti trentini nel giorno del loro patrono, ogni comunicatore – è inevitabile e pure giusto – ha un proprio sfondo culturale e relative chiavi di lettura, che non dovrebbero però mai impedire l’apertura alla novità. Chi comunica – a cominciare da chi opera nella e per la Chiesa – dovrebbe lasciarsi sorprendere dalla realtà, senza filtrare tutto con il proprio vissuto. Saper cambiare idea è un grande segno di libertà da ogni “bolla”, imposta o cercata.

Quanto all’Intelligenza Artificiale, al centro del Messaggio di papa Francesco, ne rilancio il passaggio in cui il Papa critica il termine “intelligenza” affiancato alle macchine. Le macchine non fanno altro che elaborare dati immessi da noi, ma non hanno elementi valoriali.

Lo stesso termine intelligenza artificiale è dunque decisamente improprio. Anche perché, come gli stessi uomini di scienza ci fanno notare, essa lavora solo sul passato. Si “nutre” infatti di dati che noi stessi abbiamo prodotto ma che si riferiscono alla conoscenza già acquisita. La macchina non è in grado di rielaborare il pregresso per immaginare futuro. Quello è proprio, soltanto, dell’uomo. Potremmo dichiarare l’intelligenza patrimonio (esclusivo) dell’umanità. Così come solo l’uomo è capace di sensibilità. Virtù alla quale dovrebbe ispirarsi ogni comunicatore, per essere capace, sull’esempio di San Francesco di Sales e del suo “cor ad cor loquitur” “il cuore parla al cuore”, di scongiurare ogni tentativo di trasformare i fatti in volti personali, mettendo un nome contro l’altro e mistificando la realtà. Diamo voce ai cuori.

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