Dopo la Basilicata l’Europa, o siamo sempre lì?

foto SIR/Marco Calvarese

Archiviamo il risultato della Basilicata con risultati in parte attesi, in parte meritevoli di qualche riflessione. Innanzitutto la solita affluenza che coinvolge neppure la metà degli aventi diritto (49,8% i votanti, in calo rispetto al 53,5% della tornata precedente), poi la vittoria del centro-destra (stavolta la dizione è corretta, perché il candidato governatore è di Forza Italia) che ha surclassato lo scassato “campo largo” (vedi dove si finisce accettando i diktat di Conte).

Non sappiamo quanto si possa considerare la Basilicata come test valido per rappresentare tutto il nostro paese: per sua natura l’Italia è policentrica, quasi ogni regione fa storia a sé, dunque meglio non esagerare nell’applicare meccanicamente quel che è accaduto lì alla scena nazionale.

Certamente quanto è avvenuto nelle elezioni lucane rafforza l’immagine vincente del centro-destra, visto lo scarto davvero molto notevole che separa il candidato del cosiddetto campo largo dal vincitore. Un buon risultato di immagine lo ottiene anche FI e soprattutto il suo attuale leader Tajani che è riuscito a non disperdere l’eredità di Berlusconi. La magra figura di Salvini è invece più ardua da interpretare, perché certamente non è la Basilicata un buon terreno per raccogliere voti per un leghismo che vuol penalizzare il Sud perseguendo la sbilanciata riforma dell’autonomia regionale differenziata.

Se si vuol essere obiettivi chi ne esce con le ossa rotte sono Conte e i Cinque Stelle. Intanto non hanno neppure avuto un buon successo come partito nella competizione che vorrebbero stabilire con il PD. In secondo luogo hanno imposto una scelta suicida con l’esclusione di Calenda e Renzi dalla coalizione del cosiddetto campo largo spingendoli a lavorare col centro-destra. Non è chiaro se sarebbero bastati i loro voti per avere un diverso risultato finale, ma senz’altro avrebbero consentito che il distacco fra i due contendenti fosse abbastanza, se non molto basso. Se ci si aggiunge che i capricci di Conte circa la scelta del candidato hanno gettato una pessima luce sul campo largo, si capisce che al leader pentastellato di un successo di quella coalizione non importava gran che.

Bisogna dire che il PD non ha mostrato capacità di tenuta nel gruppo dirigente romano, che ha condotto la partita con un dilettantismo che smentiva la fama di abili strateghi dei gruppi dirigenti della sinistra di una volta.

Certo l’incognita più intrigante in questo caso è il successo del partito di Calenda, che si è presentato da solo (i renziani avevano un raggruppamento più articolato e confuso) e che ha raccolto un bel bottino elettorale. Non si sa se questo dipenda da un crescente fascino che la proposta di Azione

esercita su una certa fascia di elettorato, o se dipenda dal fatto che con Calenda si è schierato Pittella, ex PD di peso in quella regione, dove può contare su un radicamento forte e su un suo blocco di voti.

In termini generali c’è dunque da chiedersi che lezioni trarranno i partiti da questo ennesimo test elettorale. Per quanto riguarda le europee probabilmente non succederà nulla. In questo caso si vota col proporzionale, ciascuno va per conto suo e dunque i problemi di condizionamento reciproco sono molto limitati. Ma le elezioni per il parlamento di Bruxelles/Strasburgo sono solo una faccia della medaglia, e, almeno per la mentalità dei nostri partiti, la meno importante (in realtà è un calcolo sbagliato: per il parlamento UE passano molte decisioni importanti).

La faccia che maggiormente riguarda gli equilibri della politica italiana sono le elezioni amministrative, comunali e regionali, che si svolgeranno in contemporanea alle europee l’8 e 9 giugno e poi a cascata nell’autunno (basti pensare all’Emilia Romagna per l’andata a Bruxelles del presidente Bonaccini) e nella primavera 2025 (si pensi al Veneto e alla Lombardia). In quel contesto il problema delle alleanze tornerà in campo: con qualche problema nel centrodestra che deve pur sistemare la posizione di Salvini, con grossi problemi nel campo largo vista la inaffidabilità di Conte, la debolezza della segreteria Schlein e l’incognita dell’area di centro.

Nelle stanze del potere si pensa, o meglio si spera che le percentuali che usciranno dalle urne europee sistemeranno molte cose. Non ci sembra così facile, visto anche che lo sviluppo degli eventi internazionali è ancora un’incognita notevole con cui dovremo fare i conti.

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