La vicenda dell’ennesimo rinvio dell’approvazione del MES mette a nudo le debolezze di una maggioranza di governo che è prigioniera delle sue contraddizioni e che finisce per impedire al governo di svolgere con credibilità il suo ruolo nell’arena internazionale.
Come sanno tutte le persone raziocinanti l’approvazione del MES da parte dell’Italia dopo che è stata ratificata già da tutti gli altri membri della UE non comporta alcun problema, perché non c’è obbligo per il nostro paese di utilizzare quella risorsa. L’opposizione alla ratifica è di carattere puramente populista per ragioni di anti europeismo e sostanzialmente è oggi sostenuta solo dalla Lega e da una minoranza interna a Fratelli d’Italia. Contrari sono stati anche, sempre per ragioni populiste, i Cinque Stelle, che però oggi tacciono lasciando che a fare il lavoro sporco siano le due citate componenti interne della maggioranza. Non a caso Meloni ha provato a ricordare che i governi dove era al potere l’attuale opposizione non hanno approvato il MES, ma ha omesso di denunciare esplicitamente che anche in quei casi non lo si fece per le contrarietà di M5S e Lega che facevano parte di quelle maggioranze (e siccome all’epoca non c’erano urgenze si lasciò correre…).
La resa della Meloni alle impuntature di Salvini e soci denuncia la sua debolezza, che non è rischiosa per lei solo perché non ci sono alternative parlamentari in grado di approfittarne. Nella difficile congiuntura attuale la premier vede messa in discussione una certa posizione di rilievo che si era pure guadagnata nel contesto europeo ed euroatlantico. Sul fronte UE il suo governo è impegnato ad ottenere una versione del patto di stabilità finanziaria che non sia penalizzante per un paese come il nostro che ha un fortissimo indebitamento pubblico, il quale sarà anche destinato probabilmente a crescere quando dovremo ripagare i prestiti che ci stanno arrivando per il PNRR.
Sul patto di stabilità si tratta di un negoziato in cui non siamo messi male, perché quel che chiediamo noi è in buona parte condiviso anche da Francia e Spagna e persino una parte dei vertici tedeschi sta valutando l’opportunità di uscire dal fronte del rigorismo stupido dei cosiddetti “frugali”. Proprio per questo non ci giova lo stigma del continuo ritardo nella ratifica del MES, ritardo che tutti capiscono derivare da un mix fra resa al populismo e ingenuo bullismo ricattatorio.
Ma perché Meloni non forza la situazione imponendo di togliere di mezzo questa questione? Alcuni tendono a dare la spiegazione di un suo timore di vedersi rinfacciato l’ennesimo cambio di posizione rispetto a quanto aveva sostenuto nella fase in cui guidava una opposizione barricadiera e anti europea. Il tema c’è, ma ormai la premier dovrebbe aver capito che la gran parte di quelli che l’hanno votata non è affezionata alle sue vecchie posizioni, ma preferirebbe vederla portare a casa risultati buoni per il nostro sviluppo. Per questo Meloni e i suoi vorrebbero poter sventolare un successo nelle trattative sul patto di stabilità in modo da far passare una successiva ratifica del MES come frutto di quel risultato: così si potrebbe sostenere la narrazione di un cambiamento di linea non di FdI, ma dei partner europei. Funambolico e poco utile.
La spiegazione a nostro giudizio più solida del mancato braccio di ferro con Salvini e soci sta nella complessità dell’anno elettorale che si apre fra poco. Certamente c’è la battaglia, ricordata fino allo sfinimento, della competizione alle urne europee dove si vota col sistema proporzionale, ma soprattutto c’è la complicata realtà di una valanga di prove elettorali interne (regionali e comunali) in cui si vota con un sistema che fa perno sulle coalizioni.
Qui la situazione è spesso incerta e qualsiasi disimpegno di componenti della attuale coalizione governativa mette a rischio ogni possibilità di successo. Del resto è la stessa cosa per le opposizioni, anch’esse dilaniate dalla necessità di tenere insieme PD, M5S e cespuglietti vari, cioè un conglomerato di forze non esattamente animate dalla condivisione di un progetto politico comune.
Questa coazione per le varie forze politiche a stare insieme su due fronti contrapposti a dispetto delle loro diversità non giova allo sviluppo di politiche capaci di gestire i complessi problemi cui l’Italia sarà messa di fronte dall’evoluzione della situazione economica e sociale tanto interna quanto internazionale.
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