L’immigrazione clandestina non è il solo problema con cui si trova a fare i conti Giorgia Meloni, anche se è uno dei più pesanti. Da un certo punto di vista per quello può scaricare un po’ di colpe sull’Europa e un po’ può appellarsi alla contingenza storica ingovernabile. Per la difficilissima gestione dell’emergenza economica non ha a disposizione qualcosa di simile: certo può dare colpe ai governi precedenti, ma tutti sanno che ci sono sempre state complicità largamente trasversali nel contribuire al deterioramento del quadro di finanza pubblica nel nostro paese.
Ovviamente le dimensioni assunte dal fenomeno migratorio sono tali da mettere a dura prova qualsiasi governo. Le buone parole che vengono saltuariamente da questo o da quello dei vertici UE e degli stati che la compongono non delineano una presa in carico del problema: i sentimenti delle opinioni pubbliche dei vari paesi sono schierati contro il flusso di persone che vengono dall’Africa (e non solo: la rotta balcanica, che preme sul nostro confine orientale, raccoglie persone dal Medio Oriente fino all’Afghanistan). Ne è testimonianza la politica del governo francese pressato dal partito della Le Pen così come l’incremento di voti dell’estrema destra tedesca della AfD.
Il problema per il nostro paese è che nel quadro europeo dobbiamo fare i conti non solo con questi scenari, ma con le preoccupazioni, per usare parole gentili, verso la nostra politica economica.
L’inflazione non si abbassa più di tanto, la recessione investe anche un’economia trainante come era quella tedesca e di conseguenza la ritrosia italiana ad accettare le tradizionali politiche di contenimento del deficit piace molto poco ai nostri partner. Del resto ci troviamo in una strana situazione: obbligati a spendere per i finanziamenti, la maggior parte a debito, che abbiamo ottenuto per il nostro PNRR, ma di conseguenza quasi costretti a dare alle parti deboli del sistema economico quegli aiuti senza i quali la nostra situazione interna si deprimerebbe in modo insostenibile.
Il governo sta cercando di ottenere un ridisegno della politica finanziaria a livello europeo, per avere almeno la possibilità di non contare nel debito che si deve ridurre quanto si impiega per alcune spese che dovrebbero rientrare nell’interesse generale della UE (i sostegni alla ripresa economica e le spese militari). Siccome la non buona fama di cui godiamo rende difficile conseguire quei sostegni, cerchiamo di raggiungere il risultato con qualche ricattuccio, come il rifiuto, o meglio la dilazione infinita nella ratifica del MES. Una strategia modesta, che più che altro acuisce la scarsa considerazione in cui siamo tenuti (a prescindere dal colore del governo in carica: va ricordato per onestà).
Non aiuta certo la ridiscussione degli obiettivi a cui ci siamo obbligati accettando i fondi del Recovery EU. È un modo di procedere che ci ha costretti a mettere a nudo la fragilità del nostro impianto decisionale e progettuale, sia a livello politico che amministrativo.
In una situazione di questo genere non aiutano certo né le fibrillazioni nella maggioranza, né l’inconsistenza dell’opposizione. Salvini è una spina nel fianco della Meloni e diventa una spina sempre più grossa e fastidiosa. I suoi attacchi all’Europa, l’esibizione della sintonia con la Le Pen, un presenzialismo esasperato con uscite demagogiche, sono grandi bastoni infilati nelle ruote del governo. Pensare che in fondo si possa far passare tutto come la solita retorica da comizio che viene dimenticata passate le elezioni, non tiene conto del fatto che poi in Europa tutti quelli che saranno ben contenti di ridimensionare il nostro peso useranno il rinvio a quelle fanfaronate come argomento per tenere l’Italia ai margini del salotto buono dove si prendono le decisioni importanti.
Salvini si sente sicuro perché sa che un’alternativa al governo Meloni non esiste al momento e che se la premier decidesse di sbarcarlo si andrebbe ad una crisi con elezioni anticipate che di questi tempi le destre non si augurano. La debolezza propositiva del PD è quasi imbarazzante. I sette punti presentati dalla Schlein come proposta di risposta all’emergenza migratoria sono nella gran parte la riproposizione di vecchi slogan sulla cui efficacia non sappiamo quanti saranno disposti a scommettere (dentro e fuori d’Italia).
Tuttavia pensare che si possa andare avanti a lungo in queste condizioni non ci pare realistico. Il fatto che non si sia in grado di immaginare cosa potrebbe succedere se l’attuale maggioranza politica collasserà non significa affatto che a dispetto di tutto ciò non possa accadere aprendo un’incognita che temiamo non sia delle più propizie.
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