“Commemorare significa darci l’occasione di portare insieme il dolore di ciascuno. Solo così si può coltivare la speranza che la ferita evolva piano piano in cicatrice, anche se sarà più facile che si rimargini quella del ghiacciaio di quella che ha lacerato la memoria e il cuore”. Alle 13.43 del 3 luglio di un anno fa la tragedia della Marmolada. Un enorme blocco di ghiaccio e detriti si stacca dal ghiacciaio di Punta Rocca, travolgendo alcune cordate di alpinisti. 11 di loro perdono la vita e 8 rimangono feriti. Nella montagna, uno squarcio impensabile e “imprevedibile”, come ha decretato l’indagine giudiziaria, non ravvisando alcuna responsabilità umana.
Per commemorare le vittime, pronunciare una parola di vicinanza ai familiari e il grazie ai tanti soccorritori intervenuti in condizioni di sicurezza altamente precaria, questa mattina, lunedì 3 luglio, è stata celebrata una Messa a Passo Fedaia, nel piazzale a monte del rifugio Cima Undici. A presiederla, come inviato del vescovo Lauro, il vicario di Zona don Albino Dell’Eva, insieme al parroco di Canazei don Mario Bravin, tra i primi soccorritori (in veste di ispettore dei vigili del fuoco volontari) intervenuti nella zona del disastro e don Franco Torresani (che ieri aveva celebrato la Messa in memoria sulla vetta del ghiacciaio). Accanto ai familiari delle vittime, le autorità (il presidente della Provincia, Maurizio Fugatti, l’assessore regionale veneto Francesco Corazzari, numerosi sindaci) e una rappresentanza dei soccorritori di un anno fa.
Da parroco nella confinante val di Fiemme, don Albino ha accostato la tragedia della Marmolada alle due del Cermis e a quella di Stava. “Al di là della conta delle responsabilità – ha sottolineato nell’omelia -, tutte denunciano la condizione di precarietà in cui vive di fatto l’essere umano, condizione che lo conduce a fare i conti con immani dolori che sconvolgo vite, biografie, famiglie, relazioni, comunità civili e religiose”.
Di fronte alle tragedie “l’unico lenitivo – ha aggiunto il vicario -, oltre a perseguire con determinazione la giustizia nei casi in cui essa è stata disattesa, è la solidarietà. E di solidarietà – ha ricordato don Dell’Eva – un anno fa ne abbiamo vista tanta attraversare quelle ore drammatiche”. Quindi il passaggio sul senso del commemorare che “significa fare memoria insieme, dove è proprio l’insieme a fare la differenza. Dibattiti pubblici, concerti di canti della montagna, proiezione di documentari, posizionamento di targhe commemorative: tutto per stare insieme, per pensare insieme, per agire insieme e soprattutto per darci l’occasione di portare insieme il dolore di ciascuno. Solo così si può coltivare la speranza che la ferita evolva piano piano in cicatrice, anche se sarà più facile che si rimargini quella del ghiacciaio di quella che ha lacerato la memoria e il cuore”.
Nel rileggere la tragedia, don Albino non dimentica la speranza offerta dalla fede e sintetizzata nel famoso canto “Signore delle Cime”. La speranza che il “Dio del Cielo, il Signore delle cime, su nel Paradiso, per le Sue montagne lasci andare i nostri amici, i nostri fratelli. È la speranza che il loro desiderio di vita, la loro gioia di fare cordata insieme, violentemente interrotti dalla fragilità e dalla vulnerabilità di quel creato che tanto amavano, trovino compimento nella nuova creazione che Dio sta preparando per i suoi figli”.
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