Il capitolo che Giorgia Meloni ha aperto con il Consiglio dei ministri del primo maggio non è un intermezzo, ma un tema destinato ad essere centrale almeno fino alla scadenza elettorale delle Europee fra un anno. Prendere di petto la questione del lavoro significa sfidare la rappresentatività della sinistra e provare almeno ad aprire la via per un moderno partito conservatore che possa presentarsi come perno del sistema.
Se non si tengono presenti questi due aspetti non si comprende quello che sta avvenendo. La premier sa bene che si trova alla testa di un partito, FdI, che raccoglie al momento una larga quota di consensi e ciò significa che dentro quelli ci sta anche una parte delle classi lavoratrici. Che operai e impiegati votino a destra è noto da tempo, così come che l’abbiano fatto per protesta contro una situazione che giudicavano insoddisfacente. La destra glielo ripeteva in continuazione e trovava ascolto, ma ora la destra si trova al governo e se non mostra di poter fare qualcosa per questi ceti non manterrà a lungo la sua posizione centrale.
Ecco allora che Meloni accetta apertamente questa sfida, lo fa occupando uno spazio simbolico come il primo maggio, e presenta la sua ricetta per mostrare di essere in grado di dare risposte alle attese dei lavoratori. La sinistra prova a delegittimarla con argomentazioni modeste e tradizionali: in realtà non fai abbastanza, ci vorrebbe di più, difendi sempre i ricchi perché non vuoi tassarli, ecc. ecc. Sono argomentazioni che convincono poco se davvero ci sarà un qualche incremento a favore di quello che giustamente si definisce il lavoro povero e se sarà ampliata la quota di occupazione. A chi insisterà nel dire che si doveva fare di più, dopo che per anni non si è fatto quasi nulla, la voce popolare risponderà col detto bolognese: piuttosto che niente, è meglio piuttosto.
In questo contesto a trovarsi in situazione difficile è il fronte sindacale, dove è probabile si riapra una certa spaccatura fra la CGIL e la CISL (la UIL si è messa a ruota della prima). Landini non sfugge all’immagine di essere una specie di cripto-leader del grande partito di sinistra più interessato ad un disegno politico che al ruolo di negoziatore al di sopra della diatriba bipolare. Sbarra, il leader della CISL, sembra più interessato a recuperare quella che è stata la tradizione fondativa della sua confederazione, un sindacato di negoziato e non di scontro di classe. Ora i sindacati non si trovano oggi in situazioni brillanti: calano le adesioni, crescono le concorrenze dei sindacati corporativi che spingono anche quelli maggiori a difese per posizioni privilegiate dei già occupati, l’ambizione che avevano un tempo di rappresentare il paese nel suo complesso è più che frustrata.
L’opposizione al governo è per la maggior parte vittima del complesso della “manifestazione” come se questo fosse il fulcro della politica, mentre ci sarebbe più che mai necessità di un confronto virtuoso fra proposte concrete. Un qualche spazio per la verità ci sarebbe, perché il decreto varato dal governo deve passare per il parlamento e si sa bene che in quella sede sono possibili modifiche, inserzioni di nuovi strumenti, ecc. Certo non è facile agire in quel modo per una opposizione spaccata dove tutti vogliono farsi concorrenza in vista delle elezioni europee dove ciascuno si presenterà per sé poiché il sistema è proporzionale. Tanto per essere chiari il nodo maggiore sarà quello della riforma del reddito di cittadinanza, che nella proposta del governo è un meccanismo pasticciato e non molto convincente, ma che non può essere combattuto sostenendo, come vorrebbero i grillini, che quel che si è fatto dal Conte 1 e 2 era buona cosa, quando invece è stato un intervento molto costoso e fallimentare da troppi punti di vista.
Meloni ha tutto l’interesse ed ha anche la scaltrezza politica per approfittare di quelle debolezze incentivando un confronto bipolare che schiacci le opposizioni sul radicalismo vecchio stile di PD ed estrema sinistra nonché sulle fantasie parolaie del post-grillismo. Sarebbe funzionale al suo disegno di accreditarsi come la fondatrice del partito conservatore italiano, che proprio per questo vuol provare ad unire un po’ di attenzione alle componenti disagiate e in difficoltà con la difesa dello status quo affermatosi in decenni di consociativismo. Per tutte queste ragioni la partita che si è aperta sul tema cardine delle politiche per il lavoro sarà centrale nei prossimi mesi e andrà tenuta sotto attenta osservazione.
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