Nella ormai lunga storia dell’Unione Europea non si era mai vista una così folta delegazione di Commissari europei, ben 15, incontrare i vertici politici di uno stato candidato all’adesione. Neppure con i paesi più difficili, come la Gran Bretagna nel 1973. E in aggiunta con uno stato da quasi un anno in piena guerra. Ciò si è verificato per la prima volta il 3 febbraio a Kyiv. Era tuttavia doveroso di fronte all’aggressione di Mosca contro l’Ucraina dare un segnale politico forte di sostegno ad un popolo sotto attacco. Che poi fosse innanzitutto l’Europa a farlo è particolarmente significativo. Non bisogna infatti dimenticare che dieci anni fa, il 29 novembre 2013, a Vilnius in Lituania l’allora presidente ucraino, Viktor Yanukovych, si rifiutò con un improvviso voltafaccia di firmare il lungamente negoziato accordo di adesione dell’Ucraina all’UE, lasciando interdetto il presidente della Commissione europea Josè Manuel Barroso.
Il retroscena stava in un incontro che qualche settimana prima Yanukovych aveva avuto a Sochi su richiesta (e ordine) del presidente russo Vladimir Putin. Dopo sei ore di colloquio Yanukovych si convinse a ribaltare il proprio solenne impegno politico di iniziare la marcia di adesione all’UE. Da lì nacque Euromaidan, la rivolta dei giovani ucraini contro il proprio leader, la sua conseguente fuga a Mosca e l’attacco russo nel Donbass, seguiti dall’annessione della Crimea contro ogni regola internazionale. Quindi l’UE e la prospettiva di adesione di Kyiv sono all’origine di questo nuovo terribile conflitto, ben più feroce di quello del 2014.
La visita a febbraio di Ursula von der Layen, presidente della Commissione, e del presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, accompagnati dai 15 Commissari sta quindi a testimoniare e a ribadire la volontà dell’UE di volere l’adesione dell’Ucraina alla grande istituzione multilaterale, cui gran parte degli stati ex-sovietici ha voluto aderire.
Sotto l’urgenza e la pressione della guerra in corso è quindi comprensibile che il governo di Kyiv chieda di accorciare al massimo i tempi dell’entrata nell’UE. Il presidente Zelensky ha addirittura indicato in due anni il tempo necessario per completare il processo. Ma tutti sappiamo, compresi gli stessi ucraini, quanto un’accelerazione del genere sia del tutto irrealistica. La storia dei successivi allargamenti dell’UE e degli adempimenti cui gli stati candidati devono ottemperare indicano che i tempi del processo sono lunghissimi.
Nel caso dell’Ucraina vi sono poi problematiche da affrontare di gran lunga più complesse che in altri casi.
La prima questione riguarda la quantità e qualità delle riforme che Kyiv deve intraprendere per rispondere ai criteri imposti da Bruxelles. In cima alla lista delle modifiche da apportare all’oggi ancora imperfetta democrazia ucraina vi è quella della corruzione. Come abbiamo visto in questi ultimi mesi di guerra il presidente Zelensky ha dovuto in più occasioni usare “l’accetta” per ripulire i quadri del suo governo dagli elementi corrotti che in esso operavano. Non è un problema da poco, sia perché il paese è in guerra e in uno stato di emergenza che non si adatta agli sforzi di autentiche riforme, sia perché quello della corruzione è un nodo che riguarda anche altri paesi già membri dell’UE e che ne mettono in discussione la credibilità. Basti pensare alle procedure di infrazione aperte da Bruxelles contro la crescente corruzione in Ungheria o in Polonia oppure ai drammatici episodi di malversazione all’interno dell’istituzione democratica per eccellenza, il Parlamento europeo.
La seconda questione, relativamente ai tempi, è la lunga lista di paesi da anni candidati all’adesione e ancora in alto mare per quanto riguarda lo svolgimento dei negoziati con Bruxelles. Ci riferiamo in particolare ai paesi dei Balcani, dall’Albania alla Bosnia, dalla Serbia al Montenegro. Come è possibile scavalcare questi paesi facendo entrare l’Ucraina prima di loro? L’UE, per di più, non ce la farebbe mai a digerire in un solo colpo paesi così problematici e bisognosi di profonde riforme solo e unicamente per fare aderire l’Ucraina.
Ma vi è una terza delicatissima questione relativa all’entrata di Kyiv nell’UE. Il Trattato di Lisbona su cui si basa oggi l’Unione prevede all’art. 42, comma 7, la clausola di difesa comune nel caso uno dei propri membri dovesse essere attaccato militarmente. Questo obbligo è poi rinforzato dal successivo art. 222 che prevede solidarietà e intervento comune in caso di atti terroristici contro un proprio membro. La guerra contro l’Ucraina è anche terrorismo di stato se solo si guarda agli indiscriminati bombardamenti russi contro la popolazione civile e contro le vitali strutture energetiche e di approvvigionamento idrico. è davvero pronta l’UE a caricarsi di questa enorme responsabilità di intervenire direttamente in sostegno dell’Ucraina e di combattere militarmente contro la Russia? è quindi abbastanza evidente che la promessa di allargamento all’Ucraina riveste un grandissimo significato politico nonché l’impegno a continuare ad offrire sostegno materiale a Kyiv.
Ma è solo con la pace che potrà davvero avviarsi il processo di adesione all’UE.
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