Una partenza in salita per il Governo Meloni

I primi passi del governo guidato da Giorgia Meloni non trasmettono l’immagine di una navigazione tranquilla. Un po’ per alcune ritualità a cui era difficile sottrarsi, un po’ per la voglia di lanciare l’impressione di un “cambio di passo”, un po’ per alcune difficoltà della situazione complessiva, quella del primo governo che vuole orgogliosamente essere di destra è stata una partenza in salita.

Partiamo dalle ritualità, in questo caso la scelta dei sottosegretari (alcuni con la qualifica di viceministri). Dopo tanto parlare di esecutivo di alto profilo, questa volta politico a tutto tondo, per lo più si è visto un governo di politici piuttosto ordinari. Non c’è da scandalizzarsi perché neppure i governi precedenti, anche a risalire molto in là nel tempo, avevano avuto compagini di alto profilo, soprattutto nei ruoli di sottosegretario. Sono posti che vengono assegnati col bilancino che valuta il peso delle varie componenti della coalizione e delle correnti in ciascuna di esse, così ci sono politici sperimentati senza essere dei fenomeni e non pochi politici ricompensati per servizi resi alla causa di parte. Andranno valutati vedendoli all’opera.

Sul cambio di passo si è assistito al solito cedimento alle pulsioni che si sogliono chiamare identitarie. Anche qui l’hanno fatto tutti, salvo che chi si trova all’opposizione ritiene inaccettabile quello che è stato da lui seguito come regola quando era al governo. Meloni nonostante il grande successo elettorale non ha avuto la forza per impedire che anche il suo esecutivo soggiacesse all’impulso di caratterizzarsi più che come risolutore di problemi come palcoscenico per mettere in scena “qualcosa di destra”. Comprendiamo benissimo che le era difficile fare diversamente non solo per dare qualche contentino ai suoi quadri che vogliono rifarsi di frustrazioni subite nei decenni scorsi, ma soprattutto per la pressione che le mette Salvini che vuole essere quello che detta l’agenda.

La tattica del leader della Lega è abbastanza semplice: annuncia in continuazione interventi marcatamente ascrivibili agli stereotipi della destra, così se vengono poi tradotti in provvedimenti governativi se ne assume il merito, mentre se non venissero accolti gli consentirebbero di presentarsi come l’unico vero rappresentante di quella parte politica. Così sono nati interventi pasticciati come quelli in materia sanitaria di lotta al Covid, mentre altri come flat tax, riforma pensionistica, normativa sui limiti all’uso del contante sono ancora nel limbo.

Ci sono state decisioni in materia di sicurezza che hanno suscitato grande dibattito da parte dell’opposizione, ma francamente non sappiamo quanto possano avere scosso gran parte dell’opinione pubblica. Dubitiamo che ci sia grande preoccupazione per la normativa di contenimento ai rave party anche se il decreto non è scritto benissimo (ma ormai quella è una costante di tutti i governi: sembra che gli uffici non siano all’altezza del compito): la domanda di “ordine” è diffusa e le opposizioni sbagliano ad impostare le critiche su presunte limitazioni alla libertà di manifestare (che non si vede perché dovrebbe contemplare la possibilità di infrangere non solo le leggi, ma le libertà di quelli che non condividono le proteste, spesso più numerosi dei manifestanti).

Tuttavia il governo è atteso al confronto con questioni ben più spinose di quelle sollevate da demagoghi e da politici in cerca di palcoscenico, diatribe che fanno solo la felicità dei conduttori di talk show. Il tema cruciale è la gestione della attuale fase economica, che era stata annunciata come estremamente tesa e problematica. Qui bisogna dire che Meloni è fortunata: la prevista seria recessione per il momento non c’è, siamo al settimo trimestre che registra incrementi nel PIL, stiamo facendo meglio di quasi tutti i paesi europei. Ciò significa che l’inflazione, certo non banale, può essere affrontata con un po’ meno di drammaticità, salvo il problema, che non va mai sottovalutato, delle fasce più deboli che non sono proprio delle minoranze insignificanti e che pagano un prezzo molto alto.

Grazie a questo quadro non negativo della situazione economica e forte di scelte in politica estera che, nonostante le follie di Berlusconi, ci mantengono saldamente nel quadro delle democrazie occidentali la premier può andare a Bruxelles in buone condizioni e può pensare che per ora non avrà difficoltà sui mercati (aspetto decisivo per un paese col nostro indebitamento).

Proprio per questo però le converrebbe lasciar perdere la rincorsa a temi cosiddetti identitari: servono solo a perpetuare un’immagine di parte (ex esclusa e risentita) che non le giova né sul piano interno né su quello internazionale. Se lavora sui temi veri del riassetto del nostro sistema, che va orientato non su ideologie di destra o sinistra che siano, ma su obiettivi di miglioramento del nostro bene comune, si consoliderà e farà un servizio a tutti attivando non zuffe demagogiche, ma una seria dialettica politica.

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