Micol Grazioli, trentina a Marsiglia. “La mia arte è relazione”

Micòl Grazioli, lacrimario, Pulvis 2022 – foto Thomas Saglia

Micòl Grazioli è una giovane artista trentina, 33 anni, che vive in Francia a Marsiglia da più di una decina. Una città cosmopolita, porto di mare dove “si viene a contatto con realtà diverse”.

Ci era arrivata nell’ambito di un progetto Erasmus e poi ha deciso di fermarsi –come va alle volte la vita nei suoi contorti a volte irrazionali, belli, insperati percorsi!

Marsiglia mi è piaciuta”, chiosa Micòl. Lei che si è laureata in Belle Arti all’Accademia a Bologna, a Marsiglia l’ha condotta, e forse fatta rimanere, la libertà che vi si respira. E che Micòl non esita a dispiegare nelle sue opere artistiche, istallazioni, oggetti, un po’ di tutto, anche sculture, inizialmente la sua specialità, il settore dove in qualche modo riesce ad esprimere il meglio e la sua visione del mondo, il mondo come è –del disincanto e di un freddo realismo- e come vorrebbe fosse, dell’incanto e della vicinanza tra gli umani e gli altri esseri viventi (la terra, le piante, gli animali).

Per l’artista di Montevaccino è importante –nella creazione artistica– “la relazione con lo spazio e con il pubblico”. Nel percorso artistico all’inizio –nell’incipit dell’opera e della creazione- non si sa dove si va, quando si crea non si sa l’esito ma è fondamentale “relazionarsi all’opera” e alle volte basta un gesto, uno sguardo, un’azione.

Micòl è stata presente a Rovereto, alla Scuola di Sant’Osvaldo, e a Trento, negli spazi del Muse e nel quartiere di San Martino riproponendo istallazioni che richiamano le emergenze umanitarie e le impellenze ambientali. Lungo la passerella sul Leno i suoi fazzoletti solidificati – tempo fa c’erano i lucchetti a significare amore duraturo – richiamano, a “lacrime salate”, la necessità di condividere emozioni difficili, portate da guerre e migrazioni; sedimentazione delle lacrime come memoria, rifugio e speranza. E allora ecco che la traccia di un gesto intimo diventa memoria condivisa. Quelle di Micòl Grazioli sono installazioni relazionali -ci tiene a ribadirlo -: non è l’artista che impone, ma l’artista che propone e chiede al pubblico di fare la sua parte, di interagire e in tal senso le sue opere sono frutto di collaborazioni. La volontà di “vivere l’arte, più che di vederla e osservarla”. Le sue linee concentriche degli alberi “disegnano” rilievi temporali e geografici e al contempo illustrano “relazioni tra persone”. “Un territorio comune – osserva Micòl – dove ognuno si riconosce in qualche cosa”.

Risulta quindi che sono due principalmente i leitmotiv di ricerca della giovane artista: lo spazio pubblico e i progetti d’arte relazionale e partecipativa. Sempre con la gente partecipante e non semplicemente spettatrice.

C’è un’opera in ceramica di Micòl che raffigura una sfera bianca dalle forme lisce, dal suo interno si libera un suono, sono i bambini i primi che hanno la curiosità di avvicinarvisi e di ascoltarla senza pregiudizi, un comportamento da prendere d’esempio in generale, e in particolare al riguardo dell’arte contemporanea che tende a far un po’ paura quando è incompresa, e che ha bisogno solamente d’essere ascoltata.

Così, ancora, visto che siamo circondati dai social e dagli smartphone che dire di una raffigurazione titolata “Dietro lo schermo” in cui “le tracce delle dita raccontano il grasso della pelle su uno schermo che diventa il reperto materiale di quest’attività”, una riflessione garbata e sottile sui “gesti ripetuti” del vivere quotidiano, che il ripetitivo non passi inosservato, che si presti attenzione a quello che si fa, a come si vive visto che non si torna indietro. La riflessiva e sorridente Micòl sembra quasi invitare a fermarsi un attimo, nella frenesia della vita di oggi, a trattenere il fiato. Ad ascoltare.

Sono molto belle opere come “Strati di memoria terrestre”, “In-salum” (dove è sorprendente e bello il gioco delle etimologie latine) e “La sedia” dove, ad esempio, una sedia rotta e fatiscente diventa metafora di un abbraccio, la necessità di ritrovare la fraternità perduta, “la cintura di una sedia si apre per accoglierci”. O la performance di “Volti nella terra” in cui l’artista si china a terra e sembra scavarla e ricavarne la creta per farne un calco del suo viso. La terra che pulsa e che odora, la terra che plasma ed è plasmata (e torna in mente un bel verso di Montale: Amo la terra / amo chi me l’ha data / chi se la riprende). Quasi un invito –e un monito- che tutti noi sulla terra siamo ospiti e non padroni, saperla allora preservare, la terra, e il nostro pianeta per chi verrà dopo di noi.

Riflessioni attualissime. Nel suo futuro immediato ci sono impegni in Francia e un po’ ovunque in Italia. Vede anche un suo ritorno in Trentino, la terra-madre, amata, con la quale vuole mantenere un legame, sempre alla scoperta di cose nuove, nel suo itinerario artistico, nel suo essere donna.

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