Il grido della terra e del suo popolo

Erwin Kräutler, Ho udito il grido dell’Amazzonia. Diritti umani e creato. La mia lotta di vescovo, Editrice Missionaria Italiana 2015, pp. 288, euro 16,00

Fino a poco più di un anno fa era ben conosciuto nell’ambiente missionario oltre che nella sua terra natale, il Vorarlberg in Austria. Poi, all’indomani di un incontro con Papa Francesco la rivelazione: proprio a lui, Erwin Kräutler, classe 1939, da 50 anni missionario in America Latina e per 35 vescovo della diocesi più vasta del Brasile (più estesa dell’Italia), quella di Altamira-Xingu, Bergoglio aveva chiesto collaborazione per la stesura della sua enciclica Laudato Si’.

Da quel momento la foto della sua figura serena con il Papa è diventata familiare a tanti mentre crescevano gli interrogativi sulla presenza (per qualcuno ingombrante) della vicenda amazzonica in uno scritto vaticano.

Così alla vigilia della pubblicazione l’Editrice Missionaria è uscita con la traduzione del racconto della sua vita, costantemente in prima linea nella difesa delle popolazioni locali, cui dar loro voce. E, se parliamo di Amazzonia, questo significa lotta del popolo indios contro la deforestazione lungo il grande Fiume.

«La sua voce è stata e continua ad essere importante per la causa del Regno che si dispiega nella causa dei poveri e degli altri», scrive Gunther Paulo Suess, anch’egli missionario in Brasile e curatore del volume.

Missionario del Preziosissimo Sangue, Kräutler era partito nel 1965 da Salisburgo, dal 1980 è Vescovo, prima ausiliare dello zio Erich, l’anno dopo successore. Dal 1983 al 1991 è Presidente del Consiglio missionario per gli Indios della Conferenza episcopale del Brasile (Cimi), carica che riprende nel 2006 a seguito dell’improvvisa scomparsa del vescovo Masserdotti. Nel 1997 al Sinodo per l’America aveva portato la voce della sua gente il cui territorio veniva sistematicamente saccheggiato.

Della sua gente ha condiviso la sorte e, talvolta, le minacce di morte, come nel 1987 quando è sopravvissuto a un attentato dov’era stato ucciso il suo autista, padre Tore (Salvatore Deiana di origine italiana): “un giorno inciso nella memoria in modo indelebile” confessa ricordando quel km 23 della Transamazzonia e quel pick-up che veniva contromano giù per la discesa per travolgerli.

Ma là ha sempre deciso di restare, anche ora che ha rimesso il mandato nelle mani del Papa per raggiunti limiti di età. “In Brasile c’è ancora molto da fare”: come la lotta trentennale contro il progetto di costruzione della centrale di Belo Monte che ha sottratto terreni a 40 mila indios. “L’umanità non può andare avanti così” scrive Leonardo Bof nella prefazione.

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