Tredici ospiti della “Grazioli” di Povo hanno tratto beneficio dall'attività terapeutica con gli esperti dell'Ufficio Beni Archeologici: così gli oggetti della memoria si sono rivelati utili a “frenare” l'Alzheimer
Chi si trova ogni giorno alle prese con i passi indietro imposti dall'Alzheimer ai propri parenti, è giustamente prudente rispetto alle possibilità terapeutiche. Eppure – senza illudersi di progressi miracolosi – può trarre motivi di sollievo in iniziative d'avanguardia, apparentemente paradossali, come quella che ha portato una dozzina di malate trentine di Alzheimer a trarre beneficio da un percorso a tappe attraverso alcuni oggetti dell'archeologia trentina. E' una sperimentazione, fra le poche in Italia in questo ambito, condotta nei mesi scorsi con felice intesa da operatori e dirigenti dell'Azienda Pubblica di Servizi alla Persona “Margherita Grazioli” e dagli operatori dei Servizi Educativi dell'Ufficio beni archeologici.
Lo hanno raccontato con eloquenti immagini a partire da quel telaio in cui ogni partecipante – le tredici “nonne” e gli operatori – intrecciava ad ogni incontro il suo filo: un gesto ripetuto, personale e insieme generativo, simbolico della fatica di “T-essere la memoria”, come dice l'indovinato titolo del progetto. “E' stato bello stare insieme”, ha riferito Rita, confermando che nel riprendere in mano gli strumenti del passato insieme ad altre persone ha ritrovato un certo desiderio di partecipare, di coinvolgersi. E non è poco per chi sarebbe spinto a richiudersi nel cortocircuito dei propri pensieri.
E poi via con i tre laboratori dal richiamo ancestrale: la tessitura a mano (“é un lavoro che ho fatto altre volte, bello”, dice Sofia), la lavorazione del burro con i bastoncini (“mi è piaciuto perché aiuta la testa”, così Elisa) e la manipolazione della creta che ha rialzato il livello – aspetto fondamentale nella malattia – dell' autostima: “Non pensavo di essere all'altezza”, ha confessato a proposito Maria Pia.
L'equipe che ha curato il progetto non pensava di ottenere risultati così positivi: “Si è visto come alcune capacità, come la manualità e la creatività, permangono nonostante l'Alzheimer – ha spiegato il presidente della APSP Renzo Dori – e come i nostri ammalati, in una fase medio-grave della malattia, abbiamo goduto degli stimoli non solo sul piano emozionale, ma anche tattile e sensoriale”. Le operatrici dell'Ufficio provinciale (Raffaella Caviglioli, Mirta Franzoi e Rosa Roncador) hanno consentito loro di prendere in mano i reperti (o apposite copie): “quante memorie ci sono qua dentro”, ha detto Saveria dopo aver toccato una tazza dei preistorici abitanti di Fiavè. La visita al Museo palafitticolo è stata molto “ricordata” (ed è tutto dire) in un coinvolgimento giudicato “al di sopra di ogni aspettativa da Roberto Maestri, animatore della “Grazioli”, che ha collaborato con Alberta Faes e Emanuela Trentini.
Il progetto avviato merita di essere ripreso e anche migliorato: “Abbiamo tratto indicazioni molto utili – conferma Luisa Moser, responsabile dei Servizi Educativi dell'Ufficio beni archeologici – per riproporre l'idea ad altre realtà e magari anche ai familiari che si trovano a convivere con questa devastante patologia. Dalla mia stessa esperienza personale ho tratto motivi per insistere in questa direzione”.
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