Due quarte classi. Entrambe di istituti del capoluogo. Una del liceo scientifico “Leonardo da Vinci”, sezione E. L’altra del liceo musicale coreutico “Bonporti”, sezione B. In tutto, 27 tra ragazze e ragazzi che da mercoledì 19 a sabato 22 aprile sono stati a Lampedusa.

Perché a Lampedusa? Perché la scuola è chiamata a dare agli studenti gli strumenti necessari a comprendere la realtà. E oggi il tema più impegnativo è quello dei diritti e dei doveri.  Chi ha diritto di fare cosa. Cosa dobbiamo fare per chiamarci uomini.

La caratteristica principale di Lampedusa è sicuramente l’essere sempre stato un punto d’incontro (a volte pacifico, a volte conflittuale) fra i popoli del Mediterraneo.

"Chiediamo al Signore che la Croce di Lampedusa smuova i nostri cuori alla compassione e ci liberi dall'indifferenza rendendoci capaci di lacrime, accoglienza e solidarietà".

Due assi raccolte e unite a formare una croce. Materia e spirito si intersecano nella spinta al verticale che prende slancio dall'orizzonte terreno. La miseria umana di chi perseguita, tortura, umilia e costringe alla fuga e il dolore di chi deve abbandonare la propria terra in cerca di un futuro migliore trovando violenza, odio, persecuzione, morte sono impresse nel legno come impronta viva.

Ogni anno, il 3 ottobre, l'Italia si fermerà per ricordare i 368 immigrati morti al largo di Lampedusa nel 2013. Il cardinale Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento, in quei giorni era a Lampedusa, sul molo.

Colpiscono le parole di Mussa, un ragazzo partito da Tripoli e arrivato fino a Lampedusa su un peschereccio con altri profughi.