Due fatti hanno contraddistinto la fine di questo mese di febbraio. Da una parte le attesissime elezioni tedesche che hanno visto prevalere il volto più conservatore del partito popolare, la CDU, nella persona di Friedrich Merz. Dall’altra il cinico voltafaccia del Trump 2 che senza tante spiegazioni ha buttato alle ortiche la legittimità politica di Volodymyr Zelensky, definito “dittatore” e causa della guerra in Ucraina. È purtroppo vero che in politica le “facce toste” non mancano mai, ma una tale distorsione della verità storica era inaspettata, perfino tenendo conto dell’imprevedibilità del presidente americano. Un segnale del palese sostegno americano al vero dittatore, quello russo Vladimir Putin, è stata la presentazione all’Onu di una risoluzione comune sul terzo anniversario della guerra all’Ucraina nella quale non si faceva alcuna menzione del vero aggressore. Nella votazione due paesi europei, Francia e Gran Bretagna membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu, si sono astenuti.
Questo episodio non fa altro che rafforzare la sensazione di uno stravolgimento radicale dei rapporti fra Usa e Ue. Un’alleanza di decisiva importanza per l’intero mondo occidentale. È, infatti, dal 1945 che le relazioni transatlantiche caratterizzano positivamente i valori comuni fra le due sponde dell’oceano: dalla democrazia al rispetto delle libertà individuali, dallo sviluppo dell’economia di mercato al grande impulso alla diffusione di un’informazione indipendente, tanto per citare alcuni aspetti comuni fra noi e Washington. Certo, dobbiamo anche riconoscere che da parte americana vi è stato un contributo decisivo alla sicurezza dell’Europa sia negli anni della guerra fredda che in quelli odierni del conflitto armato nel nostro continente. Abbandonare questo straordinario esempio di alleanza più che decennale rappresenta uno shock perfino superiore a quello della guerra in Ucraina.
Ne ha preso subito piena cognizione anche il futuro candidato alla cancelleria di Berlino, Friedrich Merz. Questo imprenditore e avvocato tedesco era noto per i suoi profondi legami con l’America, un vero e proprio filoamericano. Eppure, di fronte alle mosse di Trump 2 è stato il primo a riconoscere che il governo americano è oggi “largamente indifferente” al destino dell’Europa ed è quindi necessario che quest’ultima raggiunga una vera indipendenza dagli Usa, soprattutto nel campo della sicurezza sia economica che militare.
Non che nel passato altri leader tedeschi, fra cui la stessa Angela Merkel fiera avversaria di Merz, non abbiano chiesto all’Ue una maggiore cooperazione nel campo della politica estera e di sicurezza. Ma mai si era giunti alla richiesta di un distacco da Washington e ad un’assunzione diretta di responsabilità nel campo militare. Nel passato recente le richieste tedesche e di altri paesi europei in questo settore erano principalmente volte a completare il disegno di integrazione europea, aggiungendo a quello economico anche il coordinamento nell’ambito della sicurezza. Oggi, tuttavia, il senso di urgenza è enorme. Bisogna infatti riconoscere che la politica europea di Trump è più orientata a dialogare con Putin che a sostenere il valore dell’alleanza atlantica con conseguenze che rischiano di essere dirompenti sulla coesione della stessa Ue.
Non è solo la minaccia che la Russia può esercitare sull’Europa dell’Est, dalla Georgia all’Ucraina fino ai paesi baltici, a mettere in forse la nostra coesione interna, ma anche gli ostacoli che una politica di difesa comune incontrerà sul proprio cammino a causa della riluttanza di alcuni paesi membri ad intraprendere questo costoso e politicamente difficile passaggio. Non dobbiamo infatti mai dimenticare che proprio sulla fallita proposta di una Comunità di Difesa Europea (CED) ha rischiato di bloccarsi fin dall’inizio, era il 1954, il faticoso processo verso un’integrazione fra i sei paesi fondatori di allora.
Su questa prospettiva di ripresa del discorso sulla difesa comune si è molto esposto il futuro cancelliere. Non solo Merz ha riaffermato l’appoggio incondizionato a Volodymyr Zelensky spingendosi a promettere anche la consegna dei missili da crociera a lungo raggio Taurus, prendendo con ciò le distanze dal predecessore l’ex cancelliere socialdemocratico Olav Scholz che li aveva negati, ma ha anche delineato i contorni di una difesa europea sia per quanto riguarda il coordinamento fra gli eserciti nazionali che gli acquisti intracomunitari di armamenti (oggi per l’80% provenienti da paesi extra-Ue). Apparentemente si apre una nuova stagione di progressi sul fronte dell’integrazione europea. Ma tutto dipenderà dalla reale ripresa della cooperazione con la Francia, anch’essa politicamente indebolita per problemi politici ed economici interni. Ed in secondo luogo dalla capacità che il nuovo governo tedesco saprà dimostrare sul piano di una radicale ripresa dell’economia del paese, oggi profondamente in crisi. Senza una Germania prospera sarà ben difficile superare anche i costi finanziari che una difesa europea sembra richiedere. Più in generale una Germania assertiva è più che mai necessaria. L’equilibrio geopolitico si è inevitabilmente spostato ad est ed oggi di fronte al distacco americano (non più graduale) l’assunzione di responsabilità di Berlino è enormemente aumentata. Ne fanno conto la Polonia, i paesi baltici e del nord Europa confinanti con una Russia sempre più aggressiva. Ma la aspetta anche l’UE, che da una Germania più solida può trarre la forza per riprendere il tragitto verso un’integrazione politica che completi la già raggiunta potenza economica nel mondo.
Le prossime mosse di Merz ci diranno se questa prospettiva riuscirà finalmente a decollare.