Chi ama la montagna e l’amicizia corra al cinema a vedere Le otto montagne e poi, però, si prepari a vivere due ore e mezza ad un ritmo diverso dal solito. È nella lentezza, infatti, che si dipana questo racconto che ha per protagonisti Pietro, un bambino torinese di 12 anni che passa le estati a Grana di Brusson, in Val d’Aosta e Bruno, l’unico suo coetaneo in paese. Fra i due nasce un forte legame che, loro malgrado, viene bruscamente interrotto. I due protagonisti non si vedono per anni, intanto Pietro rompe col papà che muore prematuramente.
Quando Pietro rincontra Bruno questi gli rivela di aver promesso al padre di lui che ricostruirà una baita diroccata. I due amici, di nuovo affiatati, realizzano “la casa della riconciliazione”, ma presto si separano ancora. Bruno ha una figlia da una donna che lo affianca nel lavoro di un alpeggio, mentre Pietro parte per il Nepal. Quando l’attività di Bruno fallisce, chiede a Pietro di tornare in Italia, ma più forte dell’amico è il richiamo della montagna.
Ciò che rende questo film speciale è la capacità di far percepire allo spettatore le stesse sensazioni vissute dai protagonisti. La fatica della salita, il luccicante crepaccio di un ghiacciaio, il crepitare di un falò, l’odore di una stalla, l’acqua gelida del lago: ogni elemento della grande protagonista che è la montagna stessa, arriva al pubblico come se lo percepisse con più sensi, in una sorta di sinestesia. Il merito va sicuramente al bellissimo romanzo di Paolo Cognetti, ma la coppia di cineasti belgi ha saputo riproporre sullo schermo l’intensità dell’opera letteraria con efficacia.
Luca Marinelli e Alessandro Borghi, due dei più interessanti attori italiani, animano i loro personaggi non solo con i dialoghi (per Borghi è una prova anche l’inflessione dialettale), ma soprattutto con il linguaggio non verbale, fatto di silenzi eloquenti e di condivisione profonda.
Assistiamo al dramma di due figli che non accettano l’incomprensione dei loro padri e superano il dolore chi fuggendo lontano, chi restando ostinatamente dov’è nato. Quando i due scoprono che sono rimasti uniti, il legame si salda come le pietre che assemblano per edificare la baita.
Con una metafora himalayana, Pietro percorre le otto montagne in Nepal, mentre Bruno resta ai piedi del suo unico monte, ma entrambi trovano il senso dell’esistenza nell’essere uno per l’altro. Dove manca il rapporto col padre, la fecondità dell’amore vive in un legame fraterno che solo la morte può spegnere.
Un’ascesa verso la vetta dell’amicizia più pura, che fa scommettere su relazioni che durino “per sempre”.
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