Melvin Burgess, Kill all enemies, Milano, Mondadori, 2013, 280 p. € 13,60 – Ebook € 9,99. Età di lettura: da 14 anni
Billie è la figlia violenta di una madre alcolizzata. Rob, fan heavy metal, ha un patrigno che lo picchia mentre sua madre è incapace di reggere le proprie responsabilità. Chris è un brillante ragazzo di media borghesia, i cui genitori non capiscono perché odi la scuola così profondamente e non faccia altro che mettersi nei guai. Questi i protagonisti di un altro romanzo “shock” di Melvin Burgess, che non smette di coinvolgere i suoi lettori con storie forti. Nel libro si narrano le vicende di questi tre ragazzi che sbattono contro l'autorità degli adulti e finiscono in una struttura di recupero dove si accolgono studenti che nessuna altra scuola più vuole sui suoi banchi. E' qui che le strade dei tre si incrociano. Nessuno di loro rimane a lungo in questa posto, ma tanto basta perché il legame tra di loro si faccia molto forte.
Billie, Rob e Chris hanno una storia da raccontare, una storia che non hanno mai raccontato veramente. Tutte le persone che li circondano immaginano di conoscerla e di poterla raccontare, ma si sa che di ogni storia le versioni sono sempre due e la questione, quindi, è: a quale credere?
Difficile riassumere in poche righe le tante sfumature di questo libro duro che può piacere moltissimo agli adolescenti, perché riesce a comunicare la rabbia di questi ragazzi, il loro scontrarsi con gli adulti, la loro voglia di essere accettati per quello che sono e conquistarsi un posto nella società. Una storia nata da una ricerca sociologica sul campo fatta per un programma televisivo inglese che poi non è stato mai realizzato, ma da cui Melvin ha tratto ispirazione.
Un romanzo crudele, diretto, anche complesso – ma che si legge d’un fiato – e con un messaggio semplice: comprensione e perdono, se non per tutti, almeno per la maggior parte delle persone. Una storia che parla ai ragazzi facendo loro capire l’importanza di essere più tolleranti verso i compagni “problematici”, perché c’è un perché se, quando non dormono sul banco, disturbano gran parte delle ore scolastiche. Una storia che parla agli adulti, genitori e insegnanti, mostrando loro come non portare pregiudizio nei confronti dei giovani, basandosi solo su ciò che indossano, il linguaggio che usano, il loro rifiutarsi di conformarsi all’idea che uno può avere di teenager “normale”.
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