Am 8,4-7
Sal 112 (113)
1 Tm 2,1-8
Lc 16,1-13
Siamo all’altezza della fiducia che il Signore ci dà, ponendo il mondo intero nelle nostre mani? Facciamo crescere la giustizia, l’uguaglianza tra le persone, prendendoci cura gli uni degli altri?
Non è un Vangelo di facile interpretazione quello che la liturgia ci propone in questa domenica. È un brano enigmatico, quasi provocatorio: sembra che Gesù sia in qualche modo solidale con il ladro della parabola da lui raccontata e che ci proponga un modo di vivere non del tutto corretto (Lc 16,1-13). Racconta di un amministratore che viene licenziato dal suo padrone perché è stato disonesto. Naturalmente egli si preoccupa subito del suo futuro; si chiede come potrà continuare a vivere dignitosamente e scarta un paio di possibilità. Non intende andare a «zappare», perché sa di non averne la forza. E nemmeno andrà a mendicare, perché si vergogna. Escogita allora una soluzione a suo modo astuta, di chi sa come vanno le cose di questo mondo: «So io che cosa farò…». «L’amministratore è lodato per la sua avvedutezza, per la sua capacità di decidere di fronte al futuro: ha saputo provvedere all’avvenire finché era in tempo; ha intuito il valore di essere accolto da altri» (Lorenzo Zani).
Qui sta il significato profondo della parabola che dovrebbe portare anche i cristiani a riflettere sulla loro capacità di prendere decisioni concrete, prima che sia troppo tardi, per rispondere alla fiducia che Dio ha dimostrato nei nostri confronti, affidandoci tanti suoi beni. I nostri bilanci sono sempre in rosso. Dio ci ha dato da amministrare la terra e noi la stiamo distruggendo; in questo periodo brucia l’Amazzonia, il polmone del pianeta, tra l’indifferenza di troppi. Siamo amministratori di molti beni materiali. E Luca coglie proprio nel «possesso e nell’uso dei beni materiali l’argomento discriminante tra giustizia e ingiustizia, tra onestà e disonestà e, ancora di più, tra salvezza o distruzione di questo stesso mondo», dove tutto è denaro, merce, supermercato… Avere molto di più di ciò che è necessario e non pensare di condividerlo con chi è nel bisogno, fa diventare disonesti. È sempre provocante l’affermazione di S. Basilio del quarto secolo: «Il ricco è sempre un ladro», intendendo dire che troppo spesso si diventa ricchi con l’imbroglio, o con l’evasione delle tasse… È dunque importante credere nel Vangelo e contemporaneamente fare in modo che possa riaffiorare una maggior giustizia per tutti. «Ma capita che a volte noi cristiani non facciamo questo. Diciamo di credere nel Vangelo, ma al tempo stesso votiamo i corrotti, perché ci danno sicurezza. Cosa ci “assicurano”? Che vivremo bene. È evidente che diciamo che ha ragione non Gesù, ma colui che ci dà l’impressione che vivremo nell’abbondanza. Tradiamo il Vangelo in buona coscienza» (J. Castillo). Nel giudizio finale noi saremo giudicati sul nostro farsi o non farsi prossimo, sul nostro aver saputo essere solidali con chi è malato, o povero, o vittima dell’ingiustizia, se abbiamo saputo abbracciare la croce con loro.
Gesù conclude: «Non potete servire Dio e il denaro». Idolo di oggi e di sempre è il denaro. Ad esso si sacrificano affetti, tempo, famiglia, dignità, senso. Servire il denaro è diventare oppressori e devastatori. Servire il povero e servirsi del denaro è diventare amici del genere umano, come dice la prima lettura (Am 8,4-7). L’alternativa è chiara a seconda se il bene e il male sono decisi dal denaro o dal valore della persona umana.
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