I lettura: Esodo 24,3-8;
II lettura: Ebrei 9,11-15;
Vangelo: Marco 14,12-16.22-26
Gli intellettuali affermano che la nostra epoca è quella del “pensiero debole”. Ed è un modo di dire che tutti siamo in grado di capire. “Pensiero debole” è il contrario di “pensiero forte”: mettete al posto di “pensiero” la parola “ideale”, oppure “valore”, o “aspirazioni” se preferite. Oggi ci troviamo a dover fare i conti con “ideali”, “valori”, “aspirazioni” deboli, nel senso che durano poco, non riescono a sollevarsi molto da terra, e se per caso ci riescono, ricadono in fretta. Ci troviamo a dover fare i conti con affermazioni solenni sulla dignità dell’uomo, sempre più spesso contraddette da tentativi che stravolgono o limitano quella stessa dignità. Dobbiamo sorbirci promesse e dichiarazioni di uomini politici che, o vengono smentite da loro stessi il giorno dopo, o sono contraddette dai fatti. Pensiero debole, insomma. Anche nell’esperienza dell’amore tra uomo e donna: sociologi e esperti di statistiche ci aggiornano sulla percentuale delle coppie che tengono e di quelle che mollano (e che pure si erano promesse eterno amore). Pensiero debole anche perché si dicono troppe parole, si parla di troppe cose, e alla fin fine la sensazione che si prova è quella della superficialità, della ripetitività, della mancanza di profondità. Come può esserci un pensiero forte dietro ogni parola che diciamo? Ne diciamo troppe, non possono che essere leggere e volar via in fretta. Anche nella Chiesa – questa Chiesa che amiamo – si ha l’impressione che si dicano troppe parole: troppi interventi, troppi documenti… Non sarà che anche il pensiero della Chiesa è diventato “debole”? Ma, alla fin fine, esiste un pensiero che non sia debole, e al quale ci si possa aggrappare come a roccia che tiene? Un pensiero, un messaggio, che possa diventare convinzione vitale, che ci motivi e ci ispiri nel nostro vivere quotidiano?
Le letture bibliche di questa domenica non furono scritte in un’epoca di pensiero debole, anche perché non c’era molto materiale per scrivere e allora si mettevano per iscritto solo le cose essenziali. Come le parole di Dio, ad esempio. E vi è una parola che si ripete in queste letture (ma potrei dire in tutta la Bibbia): è la parola alleanza. Parola che esula dal nostro linguaggio quotidiano, la si usa nelle relazioni tra nazioni, tra popoli. Eppure Dio l’adopera per parlare con noi.
“Ecco il sangue dell’alleanza” proclama Mosè mentre asperge il popolo e l’altare con il sangue di animali che erano stati sacrificati a Dio. E con quel rito – piuttosto rozzo se vogliamo – intendeva dire: “Guardate che tra voi e Dio ora scorre uno stesso sangue! Voi siete consanguinei di Dio!”.
Sì, ma era il sangue di animali, la consanguineità con Dio era più simbolica che reale.
Con Gesù no. La sera dell’ultima cena, mentre porge quel calice da bere, dice: “Questo è il mio sangue, il sangue dell’alleanza, versato per tutti…”. “Egli è mediatore di una “nuova alleanza”: nuova perché non l’ha sancita col sangue di capri e di vitelli (come afferma la seconda lettura) ma con il suo proprio sangue.
Al tempo in cui si scrivevano queste cose, non c’era al mondo legame più forte, più serio, più duraturo di quello espresso dal termine “alleanza”. E se Gesù parla così – lui che è il Figlio di Dio – vuol dire che il suo legame con noi è forte, serio, duraturo. Da parte nostra potrà anche allentarsi, noi possiamo anche venir meno nella fede, così come possiamo allentare o addirittura disfare molti altri legami, ma da parte sua, no: nuova ed eterna alleanza.
Le sue parole dell’ultima cena sono scritte ormai nella storia con il suo sangue; e come parole di sangue le ascoltiamo ad ogni Eucaristia. Nessuno le potrà mai più cancellare.
Che a volte ci siano folle a riempire le Chiese, a volte invece… “quattro gatti”, non importa: Dio non si nega, non si ritrae. Ogni volta che una comunità, anche se piccola e dispersa, si raduna per celebrare, egli si dona nella povera essenzialità della Parola e del pane e del vino.
Sì, consanguinei di Dio noi siamo, grazie all’Eucaristia; ma anche consanguinei di tutti i figli di Dio come noi, senza esclusione di nessuno. È per questo che possiamo parlare a lui con confidenza come a un papà, ma è anche per questo che possiamo guardare al nostro prossimo con atteggiamento di fraternità: Cristo ha pagato con il sangue tutto ciò. È la sua Eucaristia che lo rende possibile.
Vi partecipiamo soprattutto la domenica per imparare proprio da Dio che la legge dell’esistenza è il dono di noi stessi; che l’unica legge della vita è l’offerta della vita, non all’insegna delle circostanze eroiche (che probabilmente non verranno mai), ma nella quotidianità umile e nascosta dei nostri giorni. E la prossima domenica, oltre che per imparare, ci raduniamo per ringraziare, perché in un mondo di pensieri e di ideali deboli, c’è una certezza forte, una sicurezza intramontabile: Dio ci ama, ci amerà sempre. Siamo suoi consanguinei ormai: l’ha deciso lui, di sua iniziativa, e pagato la sua decisione con il suo sangue.
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