Un giorno al Poplar, agli eventi bison nar

Il Poplar Festival si è svolto tra Piedicastello e Doss Trento dal 12 al 15 settembre

Quando succede qualcosa a Trento bisogna andare. Bison nar. Secondo la filosofia del “andiamo a fare un salto” (che tanto un controllo non fa mai male), se c’è una cosa da fare il meteo c’entra fino a un certo punto: per le cose che contano ci si copre. Per quanto riguarda il tempo, quello lo si trova. Il trentino vive con una curiosità mossa da una diffidenza che a volte sceglie di soddisfare. Con scetticismo e fermento attende gli eventi che si alternano in città, e quando questi arrivano, siano essi festival di economia, gastronomia autunnale, o aeroplani che volano, il trentino el ghe ten a fare presenza. Così, concerto dopo concerto, film dopo conferenza culturale, la presenza assume valore e genera esperienza, bagaglio culturale. La partecipazione, la miglior forma di “controllo del vicinato”. Col passare degli anni l’ambito musicale si è rivelato essere un campo che in Trentino è sempre stato coltivato, talvolta anche in maniera sotterranea (anche se underground suona meglio). Come raccontato da Davide Leveghi, curatore di Gazèr per la Fondazione Museo storico del Trentino durante un incontro a Poplar Cult – la rassegna pomeridiana che si è svolta a Piedicastello per quattro pomeriggi in occasione del Festival assieme al cantautore noneso Felix Lalú, la scena musicale trentina ha una storia sua ed una sua identità, e sarebbe tutta da raccontare. Festival come questo, poi, creano valore sociale prima che culturale, riuscendo a riunire persone, band locali ad artisti di portata internazionale, abituati a palchi ben più grandi delle 3500 persone del Doss Trento. E l’aggregazione così generata crea un sentimento di affiliazione che permette al trentino di mettere da parte quel senso del dovere che a volte si prova nell’andare agli eventi. I festival musicali, se organizzati sapientemente in scala alla popolazione e assecondando o plasmando i gusti di una nicchia di cittadinanza (nicchia abbastanza grande da riempire la “Doss Trento Musica Arena”) assumono un ruolo decisivo nell’influenzare la cultura cittadina ed aiutano la città a farsi un nome nel circuito musicale che conta. Il tutto senza parlare di ricadute ed indotto sia a livello reputazionale, sia economico.

Il valore degli artisti presenti a Poplar Festival quest’anno, ad esempio, potrebbe giustificare l’inquinamento acustico che, chi non è parte della nicchia, ha dovuto sopportare. La diffidenza spinge a non partecipare, anche per potersi arrogare il diritto di supporre cosa possa accadere agli eventi, siano essi la Fiera di San Giuseppe o l’adunata degli Alpini o la Color Run (che, come tutti gli eventi, hanno il loro pubblico e i loro detrattori: persone lese ed indispettite dall’indotto altrui).

Insomma, in base a questo sentimento comune, forse è meglio non sapere cosa è successo realmente sopra il Doss. Una montagnetta colma di storia, che custodisce i resti della basilica paleocristiana del VI secolo sotto alle fortificazioni austro- ungariche ed ai tunnel degli Alpini. A fianco a loro, lo spirito di Cesare Battisti è vegliato dai richiami dei gufi reali. Salendo le scalette del Doss Trento, guardando Trento dall’alto, si può immaginare come il colle non sia mai stato silenzioso. Eppure, il silenzio, difficile da perseguire, lo si può presupporre. Per quanto silenti monopattini elettrici taglino la strada a silenti Tesla, una città non potrà mai tacere. Silenziose non erano le campane di quella che si suppone essere la prima basilica cittadina. Rumorosi, erano i cannoni in tempi di guerra, irredentista era Cesare Battisti, presente e roboante è il Poplar: il festival di scala internazionale che non sapevamo di avere nella nostra città di provincia, autonoma.

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