Uno dei problemi che indubbiamente affliggono oggi il nostro Paese, ma forse anche la Chiesa e le librerie cattoliche in particolare, è che sono più le persone che scrivono libri di quelle che leggono libri. E la qual cosa appare, ahimè, evidente per il fatto che molti dei libri di oggi, come pure degli articoli di giornale, sono scritti male, con linguaggi poveri e inappropriati, senza nessun gusto per il bello, molte volte addirittura sgrammaticati e ignari di quella basilare “segnaletica orizzontale” che è la punteggiatura. Si scrive con i registri del parlato, con un lessico ridotto a poche centinaia di parole, con le modalità imperanti dei social, che hanno illuso tutti di poter essere scrittori, facendo così proliferare le case editrici “a pagamento”, che svuotano le tasche degli autori e riempiono interi magazzini di carta e mediocrità. Per scrivere bene è necessario leggere molto, soprattutto frequentare i classici della letteratura.
È bello che questo richiamo alla lettura sia arrivato anche da papa Francesco domenica scorsa 4 agosto con una Lettera pensata inizialmente per i seminaristi e i sacerdoti (e per questo resa pubblica nella memoria del Santo Curato d’Ars), ma poi indirizzata a tutti i cristiani, con una particolare attenzione a coloro che si preparano a svolgere un qualche ministero nella Chiesa.
La preoccupazione del Papa non è evidentemente quella di fare di tali persone dei validi scrittori, ma di aiutarli ad aprirsi ad una più approfondita comprensione del cuore umano e del mondo. A diventare cioè, per citare il Concilio, “esperti in umanità”, anche grazie ad un’assidua lettura di romanzi e poesie, forme espressive che mettono a contatto con la vita senza la pretesa di oggettivarla.
Frequentare letteratura e poesia, spiega il Papa, riduce il rischio di annunciare un “Cristo disincarnato”, magari teologicamente ineccepibile, ma lontano e afono rispetto al vissuto della gente comune. Un buon libro – si dice in diversi passaggi della Lettera – “infrange i nostri linguaggi autoreferenziali”, “apre la mente”, “sollecita il cuore”, “allena alla vita”. E proprio l’estate può essere un momento favorevole per tornare a fare questa scoperta, per ritrovare la buona compagnia di un romanzo. Una compagnia che, attraverso i meccanismi dell’immedesimazione, risulta molto più coinvolgente di quella offerta dai falsi spazi di libertà dati dal web attraverso i diversi dispositivi elettronici. E qui papa Francesco, dopo aver citato il saggio di Clive Staples Lewis “Letture e lettori”, ci mette davanti alla magia della letteratura, attraverso cui “ci immergiamo nell’esistenza concreta ed interiore del fruttivendolo, della prostituta, del bambino che cresce senza i genitori, della donna del muratore, della vecchietta che ancora crede che troverà il suo principe. E possiamo farlo con empatia, con tolleranza e comprensione”.
Questo momento di immersione in vite e storie diverse dalla mia, mi accompagna fin da quando ero ragazzo. Non riesco a prendere sonno la sera senza aver letto qualche pagina di un romanzo. Negli anni del Seminario ho divorato la letteratura russa e quella inglese: Tolstoj, Dostoevskij, Checov, Dickens, Brontë, Austen…, ma anche tutti i gialli di Simenon… Ancora oggi attendo il momento del riposo, pregustando in anticipo il piacere di aprire il libro e riprendere la lettura. E, quando il romanzo termina, provo sempre un filo di malinconia per quei personaggi che mi hanno fatto compagnia e che più non incontrerò prima di dormire. Leggere a letto sotto il ristretto cono di luce della lampada del comodino: un piacere sconsigliatissimo da ortopedici e oculisti, ma ora raccomandato dal Papa in persona!
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