Umani, sullo stile di Dio

I lettura: Geremia 23,1-6;

II lettura: Efesini 2,13-18;

Vangelo: Marco 6,30-40

Se dovessi fare una raccomandazione a tutti coloro che hanno una qualche responsabilità sugli altri, alla luce del vangelo di questa domenica direi così: “Cerchiamo di essere umani!”. Eh, non è sempre facile, non è scontato. Vuol dire essere capaci di attenzione, anzi, di molte attenzioni.

Vuol dire accorgersi quando uno è stanco e, anziché sovraccaricarlo di altro lavoro ancora, invitarlo a riposarsi: “Venite in disparte – dice Gesù ai suoi apostoli – in un luogo solitario, e riposatevi un po’!”.

Essere umani vuol dire ritrovarci una faccia tale che, chiunque ci vede, si sente incoraggiato a chiederci un favore. Sempre. “Era molta la folla che andava e veniva e non avevano più neanche il tempo di mangiare!”. Neanche a Gesù Cristo le ciambelle riescono tutte col buco: voleva condurre i suoi a riposare in un luogo tranquillo, ed ecco che, quando arrivano, quel luogo tranquillo non lo è più perché la folla è già là ad attenderli. Essere umani vuol dire accettare che le necessità altrui mandino all’aria i nostri piani, i nostri progetti personali o familiari. Presto detto, ma difficile da accettare: mi auguro che sia esperienza di tutti, non solo mia.

D’altronde, “umanità” è sinonimo anzitutto di “compassione”, ma non quella che prende per un istante (perché poi si cambia canale): compassione nel senso di sentirsi smuovere nell’intimo e non poter più stare tranquilli fin che perdura quella situazione. “Sbarcando, Gesù vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore”. Quando la Bibbia afferma che Dio si commuove, contraddice in pieno l’idea del Dio così perfetto in se stesso da non aver nulla da spartire né con chi soffre né con chi è contento. La nostra Fede si fonda su ciò che Dio stesso ha voluto che si scrivesse di lui: la Bibbia afferma espressamente che Dio è uno che si commuove di fronte alle miserie umane.

“Che fa Dio?” si domanda la gente quando accadono certi drammi. Dio si commuove ben prima di noi. Con una commozione che lo smuove e lo porta ad agire, al di là delle nostre constatazioni. “Gesù, vedendo quelle folle, si commosse e si mise ad insegnare loro molte cose”. E non solo d’insegnamenti è fatta la sua commozione; il seguito ci dirà che essa diventa pane, cibo per la fame di quella gente che lo cerca. “Erano come pecore senza pastore”. Io ho parlato di “umanità”, dell’importanza di essere “umani”. La Bibbia parla di pastore: comportarsi da pastore.

Chiunque ha una responsabilità sugli altri, per la Bibbia è pastore; anche chi governa. Le antiche popolazioni del Medio Oriente vedevano anche nel re un pastore; nel tratteggiarne la figura ideale parlavano sovente del “re-pastore”. Anche se, a dire il vero, figure ideali ce ne furono poche e i profeti (come Geremia nella prima lettura di questa Domenica) dovettero spesso gridare: “Guai ai pastori che fanno perire e disperdono il gregge… Voi avete disperso le mie pecore, le avete scacciate e non ve ne siete preoccupati: guai a voi!”. Anche allora la giustizia che vigeva era quella del più forte. Anche allora si facevano leggi e decreti per mandare in prigione i ladri di galline e lasciar liberi – o tutt’al più agli arresti domiciliari – i grandi malavitosi, colpevoli di corruzione e di concussione. Anche allora accadeva: ai tempi di Amos, di Geremia, di Ezechiele e di tutti gli altri. Mi pare che a volte le loro parole potrebbero suonare attuali anche nei nostri moderni parlamenti. Sì, anche i pastori della Chiesa le devono ascoltare con attenzione e umiltà, dall’ultimo prete che sono io, su su fino al primo che è il Papa. Devono domandarsi se davvero vegliano sul gregge, o se invece parlano per tutte le occasioni tranne che per mettere in guardia dai reali pericoli che incombono.

Il popolo della Bibbia era talmente deluso della giustizia che ad un certo punto arrivò a questa conclusione: il Signore, solo lui, è la nostra giustizia. Solo il Signore sarebbe stato in grado di fare da pastore. Ed eccolo qui, finalmente: “Vedendo le folle, Gesù si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore”.

Solo Dio è buon pastore. Solo Gesù sa commuoversi senza cambiare canale in fretta, con una compassione che diventa operosa, intervento fattivo e concreto. Non aspettiamoci di trovare pienezza di umanità, di attenzione, di compassione, fuori da Dio, lontano da Gesù.

Solo Dio sa essere umano fino in fondo. Non per nulla si è fatto uomo.

Gli uomini, per bene che vada, hanno sempre qualche difetto, qualche limite; e per male che vada, sono mercenari anziché pastori.

Solo Gesù Cristo è “umano” in pienezza: diamogli fiducia incondizionata. E, per quanto possibile, impariamo da lui. Perché, pur con tutti i nostri limiti, noi possiamo imparare: uomini (o donne) si nasce, ma “umani” lo si diventa (se si vuole). Sia lui il nostro Maestro, il nostro modello di umanità. Lui che invita chi è stanco a riposare. Lui che non riserva a se stesso nemmeno il tempo per mangiare. Lui che si commuove per le pecore che sono senza pastore.

vitaTrentina

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