C’è una domanda che legittimamente comincia a farsi strada: chi ha davvero vinto le elezioni presidenziali negli Stati Uniti? Di sicuro le ha vinte Donald J. Trump che torna alla Casa Bianca dopo la sconfitta di quattro anni fa. Ha conquistato un numero di grandi elettori ben al di là di ogni aspettativa (vincendo anche in tutti i cosiddetti “Stati incerti”); ha ottenuto un inatteso successo anche per quanto riguarda il voto popolare (la Clinton, nel 2016, pur sconfitta, lo aveva superato di ben tre milioni di voti); ha catturato il consenso anche di fasce di popolazione (di colore, latino americani, donne e abitanti delle grandi città) che tradizionalmente erano considerati molto lontani dalla sua proposta elettorale e dall’azione di governo dei repubblicani. Trump ha dunque vinto le elezioni, senza margini di dubbio. Ma c’è anche un altro vincitore, Elon Musk, che sta facendo di tutto per accreditarsi come “l’uomo forte” della presidenza Trump. Si potrebbe dire, l’“altro presidente”.
Nelle prime ore dopo l’esito del voto, quando però mancava ancora l’ufficialità, colui che ha comperato Twitter (pagandolo 44 miliardi di dollari, gli ha cambiato nome – ora si chiama “X”- e l’ha trasformato in un micidiale strumento di propaganda) ha pubblicato un tweet con una grande foto che lo vede sull’attenti davanti alla bandiera americana, la mano destra portata alla fronte nel tipico saluto militare, lo sfondo dei grattacieli con i colori dell’alba a rendere il messaggio molto diretto: «In America è di nuovo mattina».
Una foto che però sembra essere quella di un presidente, di un “Comandante in Capo”, non del primo dei supporter. Qualche ora dopo, ad elezione confermata, ecco un nuovo tweet: Elon Musk in maglietta, sorridente, con un lavandino tra le braccia. Sullo sfondo non la Casa Bianca, ma lo Studio Ovale, l’ufficio del presidente degli Stati Uniti. Anche in questo caso, il messaggio è molto chiaro. Accompagnato dalla scritta “Let that sink in» – “fatevene una ragione”, “digeritevela” – che è un’espressione idiomatica inglese incentrata sulla parola “sink”, che significa “penetrare, affondare, andar giù” ma anche “lavandino”. Un gioco di parole, con la medesima fotografia di Musk con il lavandino in braccio, che aveva segnato l’avvio della nuova epoca di Twitter acquistato nell’autunno di due anni fa con un “opa ostile” costata, secondo gli analisti, uno sproposito. Ma chi ha i soldi può fare ciò che vuole. Le azioni del socialnetwork, in quel momento, valevano una trentina di dollari a titolo; Musk ne ha offerti 50 portando a casa, ovviamente, l’intero capitale. L’arrivo con il lavandino nel quartier generale di Twitter, a San Francisco, era dunque quello del nuovo proprietario, di colui che aveva comperato, che si apprestava a comandare. Nel caso dell’Ufficio Ovale, tutto è diverso. Forse non il convincimento intimo del protagonista. Qualche giorno dopo, sempre con un tweet (Musk ha oltre 200 milioni di follower, ma i suoi algoritmi fanno vedere i suoi post anche a chi non ha il suo profilo tra quelli che intende seguire) ha dato letteralmente dello “stupido” al cancelliere tedesco Scholz Scholz e ha chiesto di rimuovere i giudici italiani che si esprimono contro il trasferimento dei migranti in Albania. Inoltre, ha partecipato in prima persona alla telefonata – assai delicata – tra Trump e il presidente Zelensky sul futuro della guerra in Ucraina.
Elon Musk, del resto, non è solo l’uomo più ricco del mondo, è anche una delle persone più potenti. Non solo per il suo ruolo nella campagna elettorale americana, ma perché è titolare di aziende che stanno determinando il futuro. C’è ovviamente Tesla, le macchine elettriche con l’ambizione di arrivare ai veicoli robotici a guida autonoma, ma c’è soprattutto Starlink: duemila satelliti che consentono a chiunque di collegarsi ad internet. Anche in mezzo all’oceano, anche nei luoghi più sperduti, anche nel mezzo di una guerra – come quella dell’Ucraina – dove le infrastrutture sono distrutte e solo gli apparecchi di Elon Musk riescono a rendere possibili i collegamenti. La scommessa, oggi, è quella di passare da collegamenti satellitari con le microonde, a collegamenti laser, molto più veloci e più efficaci. Musk è pure fondatore e titolare di Space X, l’azienda aerospaziale che punta alla colonizzazione di Marte. Proprio una sua navicella riporterà a terra, nel prossimo mese di febbraio, due astronauti americani bloccati da quest’estate sulla Stazione spaziale internazionale, “appiedati” dal guasto della capsula della Boeing che li aveva portati in orbita. Ed è pure di Musk il progetto – fatto vedere al mondo qualche settima fa – dei razzi che fanno ritorno alla base di lancio.
Tutto questo, per Musk è la dimostrazione che “il futuro è già qui”. Ma con enormi riflessi nel campo militare dove l’alta redditività degli investimenti si accompagna con l’incremento esponenziale del potere di chi costruisce, governa e controlla questi strumenti. Quella dimensione del “potere tecnocratico” – esercitato cioè dalle macchine, dall’intelligenza artificiale e da chi le controlla – a cui più volte ha fatto riferimento papa Francesco richiamando i rischi per il futuro dell’umanità.
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