Timor di Dio

Il timore filiale di Dio è già amore, anzi è amore di molti carati

“Timor di Dio indica il sentimento che pervade l’uomo che avverte la presenza di un essere che lo trascende e che manifesta la sua potenza senza rivelare la sua natura nascosta. L’aspetto del tremendum è un tratto che sempre accompagna la percezione del divinum e del sacro. Distinto dalla paura, che sempre riguarda qualcosa di determinato di cui si conosce la pericolosità, il timore, quando è interiorizzato, concorre alla formazione della coscienza morale che argina le spinte trasgressive” (Galimberti, Dizionario di Psicologia).

Persino Abramo e nella notte illuminata dall'inebriante olocausto per l'Alleanza fu assalito da un oscuro terrore (Gen. 15,12).

Un timore che ha vari gradi.

Il nostro povero Pierino ruba la marmellata in cucina ma non se ne fa un problema morale o di reciprocità affettiva. L'azione è andata bene se nessuno se ne accorge. E' andata male se, scoperta, ha per conseguenza la vitale perdita della benevolenza materna e la temuta riprovazione paterna. Pierino non lo sa, ma si trova ancora in una fase di timore servile: sentimento tutto egoistico, tutto per se stesso, di perdere un bene o ricevere un danno, timore dell'altro che può farmi del male o negarmi un beneficio. E' chiuso in sè, non è in grado di percepire le preoccupazioni dei genitori per lui, la loro ansia per una sua indigestione, la loro delusione perché non è sincero e altro. Non è ancora in grado di vivere una relazione affettiva. Vede solo il suo presunto bene e le persone per quanto gli sono utili.

Sta sperimentando il timore come “stato d'animo ansioso o sospettoso di chi considera la possibilità di un evento dannoso,doloroso o comunque spiacevole”.

Pian piano, uscendo dall'infanzia e procedendo nell'adolescenza, si affinerà, talvolta anche dolorosamente, provando "preoccupazione di essere indiscreto, di far cosa spiacevole, timore di annoiare, disturbare". Incapperà in qualche "sentimento di soggezione o di compunto rispetto nei confronti di persona autorevole”.

Incrocerà il “timore reverenziale: quello che si prova verso persone che hanno una posizione superiore alla nostra” (cfr. Devoto Oli).

In un dato momento della sua adolescenza, l'ormai Piero/a varca la soglia e scopre l'amore filiale. Un aiuto del tutto extra ricevuto dai genitori in una sua difficoltà, uno squarcio di tenerezza, una fase di sofferenza fisica o morale percepita nella mamma o nel papà o in tutti e due, una scoperta del monte ore del loro servizio gratuito, una percezione della loro dedizione, l'apprezzamento della loro oblatività verso terzi, una comunanza di sentimenti, gusti e valori. E all'improvviso oppure impercettibilmente la rivelazione di un genitore finora sconosciuto.

Un'amicizia, una fraternità sentita, l'incontro con un adulto esemplare, un amore vero, una solidarietà professionale, un volontariato preparano e completano il tutto.

Questo timore filiale non è più timore dell'altro bensì per l'altro: non deluderlo, non contristarlo, contraccambiare, ringraziare, farlo felice, ripagarlo dei sacrifici compiuti. A volte pura gratitudine, a volte scambio reciproco, gratuito, non calcolato, spontaneo. E' il timore di offendere l'amato, di contristarlo. Come quando ti fa esclamare: "Fai piano che sta dormendo e ha bisogno di riposo" oppure "Non dirgli oggi questa cosa che ha già altre preoccupazioni".

Il timore filiale di Dio è già amore, anzi è amore di molti carati. Per questo la Bibbia esclama in varie occasioni: “Il timore del Signore è puro, prolunga i giorni, allieta il cuore, è gloria e vanto, solleva il cuore, è un giardino, nulla è meglio del timore del Signore, è tutto!”.

E la tradizione cristiana, in conseguenza del rapporto di filiazione, lo considera uno dei sette doni dello Spirito Santo.

L'attenzione affettuosa per l'altro, come istintivo segno di gratitudine per quel che per noi significa e a noi dona, è grande segno di maturità della persona e civiltà di un popolo. Mosè si scalza per avvicinarsi al roveto ardente.

Tale delicatezza e rispetto sono propri di Dio. Gesù ha a cuore di non spegnere il lucignolo fumigante, di non danneggiare l'umanità/frumento per lo zelo di estirpare l'umanità/zizzania. Il Padre esce per primo incontro al minore discolo e al maggiore per favorire il loro ritorno.

La persona che è riuscita ad esprimere in modo impareggiabile, quasi impensabile, lo stato d'animo del più perfetto e gratuito timore di Dio può essere Hetty Hillesum, giovane ebrea olandese morta ad Auschwitz.

Dal suo Diario del 12 luglio 1942: “L'unica cosa che possiamo salvare in questi tempi e anche l'unica che veramente conti è un piccolo pezzo di te in noi stessi, mio Dio. E forse possiamo anche contribuire a disseppellirti dai cuori devastati di altri uomini. Si, mio Dio, sembra che tu non possa fare molto per modificare le circostanze attuali, ma anch'esse fanno parte di questa vita (…) E quasi a ogni battito del mio cuore, cresce la mia certezza: tu non puoi aiutarci, ma tocca a noi aiutare te, difendere fino all'ultimo la tua casa in noi”.

Tu non puoi non per mancanza di onnipotenza, ma per delicatezza di amore, per rispetto della nostra libertà, per non toglierci il compito che ci hai affidato. “Crescete, moltiplicatevi, riempite la terra e prendetevi cura di lei” (Gen. 1,28).

A quota 8.000, quando l'amore diventa il massimo della saggezza e della follia, Rabi'a al-Adawiyya, mistica musulmana dell'VIII secolo, ci offre questa sintesi: “Signore, se ti amo per timore di perdermi, fammi bruciare nel fuoco dell'inferno. Signore, se ti amo per avere il paradiso, escludimi dalla tua presenza. Ma se ti amo solo per Te, non respingermi dal tuo volto”. Proviamo ad iniziare.

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