Tassullo, un brindisi alle celle ipogee, ma anche al coraggio dei “pionieri”

La sezione della montagna con all’interno, nelle celle ipogee della miniera San Romedio, i data center illustrazione InSite ©

“Libiamo, libiamo ne’ lieti calici”, canta Alfredo nel celebre brindisi a tempo di valzer de La traviata. Fa pensare al festoso clima, che nell’opera di Verdi aleggia in casa di Violetta, la conferenza stampa del primo ottobre sulle magnifiche sorti dei vuoti di cava di San Romedio, in Val di Non. Brindisi meritato e sorti magnifiche davvero.

Le gallerie scavate dal cementificio Tassullo, dopo aver ospitato Melinda, Trentodoc e Trentingrana, si avviano, infatti, ad accogliere il primo data center in un sito minerario attivo, grazie a Trentino Data Mine, la società costituita dall’Università di Trento con Covi costruzioni, Dedagroup, GPI e ISA.

L’innovazione di frontiera, la visione di futuro, il legame con il territorio, l’alleanza fra la manifattura, la green economy e la finanza, una politica industriale sempre generosa con la ricerca applicata spumeggiano idealmente nei calici. Li levano al cielo il Rettore Flavio Deflorian e gli altri partner del progetto Intacture, sostenuto dal recovery fund. Calici lieti “che la bellezza infiora”. È la bellezza dei valori simbolici sprigionati dalle celle ipogee, che conferiscono all’autonomia trentina quel carattere laboratoriale tanto prezioso per tenerne viva, di fronte allo scetticismo centralista, la ragion d’essere.

Una vera festa, dunque. Adombrata però da un velo, invisibile quanto impenetrabile. Come il silenzio che avvolge l’origine della geniale intuizione di riutilizzare i buchi sotterranei dell’attività estrattiva per la frigoconservazione alimentare o per l’ubicazione di data center. Il cuore dell’idea è sfruttare lo strato di roccia che avvolge questi “buchi”, conservandoli a una temperatura bassa e costante, con l’effetto di liberare il suolo da strutture di immagazzinaggio e risparmiare grandi quantità di energia. Non c’è voluto solo intuito, ma anche un’incrollabile volontà. La fase di avvio richiese test di fattibilità ad alto spessore scientifico (condotti con l’università norvegese di Trondheim e poi con la Fondazione “Edmund Mach”), il superamento dello scetticismo degli stakeholder, una modifica della legge mineraria (2012) e perfino un ingegnoso ossimoro giuridico, il «diritto di superficie sotterraneo».

Già, come si vende un buco? Si acquista da circa 200 proprietari il diritto di disporre del suolo da 40 metri sotto terra usque ad inferos. Si sbriga un bel po’ di burocrazia, si ottiene dalla Provincia il contributo al progetto di ricerca, si trovano gli altri soldi e si convincono i quasi seicento soci di una s.p.a. a proprietà diffusa. Semplice, no? La domanda ironica vuol dire che le idee nascono nella testa e camminano con le gambe di persone speciali, magari divisive, illuse, sfortunate, forse non immuni da errori, ma certo non arrendevoli.

I rischi professionali e reputazionali si riveleranno altissimi per Stefano Odorizzi, l’ex amministratore delegato della Tassullo Materiali s.p.a.. Dopo il 2008 l’azienda fu colpita dalla crisi dell’edilizia e trascinata in un controverso fallimento, dichiarato, annullato in appello, confermato in Cassazione, quando già gli asset erano stati ceduti. Da allora il decisivo ruolo dell’a.d. Stefano Odorizzi, oberato di responsabilità, sembra cancellato dalla memoria collettiva. Eppure, la Tassullo, a proposito di ossimori, fu uno dei pochi fallimenti «con la polpa», cioè valore creato, che tarderà solo qualche mese di troppo nel tramutarsi in cash flow. Il gruppo subentrante sembra infatti godere di ottima salute.

La vecchia Tassullo era salvabile? L’intricata vicenda fu vagliata da occhi competenti e i cespiti rilevati da un gruppo poliedrico. Tuttavia, la storia di quelle gallerie non si può celebrare strappando le pagine della fase pionieristica, in cui la genialità, l’abnegazione e il coraggio del management e di dipendenti fedeli hanno spianato la strada al tintinnio dei ritorni economici attuali dei progetti ipogei. È doveroso onorare quei pionieri, evitando un finale struggente come nell’opera verdiana, un’altra sorta di ossimoro: solo dopo la morte di Violetta, infatti, Alfredo capirà di essere stato lasciato con amore.

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