Su ESPN un nuovo docu-film sulla figura di Lance Armstrong

“I think there has to be a winner… I’m just saying that as a fan… I feel like I won those Tours”. Penso che ci debba essere un vincitore , lo sto solo dicendo come fan. Mi sento come se avessi vinto quei Tour. Così aveva dichiarato nel 2015 in una delle sue ultime interviste Lance Armstrong e così si concludeva la pellicola biografica The Program, di Stephen Frears. Nessuna scusa, nessun passo indietro. Uno schiaffo morale a tutta l’etica sportiva.

Lance Armstrong è sempre stato così, molto sicuro di sé, carismatico ed accentratore, forse troppo.

Il ciclista che ha costruito “il più sofisticato programma di doping nello sport” è tornato alla ribalta in questo mese dopo che ESPN ha pubblicato un nuovo docu-film sulla figura di Lance Armstrong dal titolo LANCE. L’emittente televisiva americana dopo aver cavalcato l’onda di The Last Dance, a mani basse la serie tv più chiacchierata dell’anno, sgancia la bomba.

Guardare dentro al vaso di Pandora del periodo più buio del ciclismo moderno. Una lunghissima intervista (3 ore e 15 minuti in due parti) a Lance Armstrong per sentire dalla viva voce dell’ex campione le sue verità.

Marina  Zenovich confeziona un vaso nucleare e altamente tossico che non trova la speranza nemmeno sul fondo. La regista statunitense non va per il sottile e spara subito puntando all’obiettivo: “A che età ti sei dopato per la prima volta?”, è la domanda che viene ripetuta più volte anche agli ex compagni di squadra del texano.

Lo schiaffo della risposta arriva forte e sonoro, lasciando lo spettatore basito e annichilito sul divano: “A 21 anni ho cominciato con le sostanze illegali“. Lance è una volpe davanti alla telecamera, fanno più paura le cose che non dice e sottintende. La regista sa come trattenere un cavallo di razza e non si lascia trascinare nel ring. Sa benissimo che questo documentario potrebbe far apparire meno colpevole Armstrong, e disegnarlo come ingranaggio di un sistema interamente corrotto.

Zenovich non ci sta e più volte redarguisce l’intervistato, tenendo saldamente le briglie del discorso fa cadere a vuoto i suoi strali.

Il quadro finale è impietoso. Se, nonostante una competitività spesso e volentieri oltre i limiti, Jordan era uscito eroico da The Last Dance, Armstrong è l’altra faccia della medaglia dello sport americano, quella oscura e maledetta, quella che per vincere è disposta a tutto, perché tanto “Non mi costava nessuna fatica mentire: ho detto migliaia di bugie. Ero convincente, mentivo guardandoti dritto negli occhi: io dopato? Come osi pensarlo? Bugie e arroganza. Ero un animale da corsa: quando scendevo dalla bici non avevo idea di come gestire un rapporto umano“.

Il docu-film di ESPN è una discesa agli inferi, nella mente di un personaggio sportivo e iconico, che nel bene e nel male ha lasciato un segno nell’universo sportivo americano e mondiale. Dai suoi primi successi da triatleta, passando per quelli ciclistici, il lungo metraggio tratta di tanto doping (si cita il caso Festina, il fenomeno EPO, il dottor Ferrari, l’odio per Floyd Landis e il tanto becero attacco a Simeoni) ma anche di tanta lotta al cancro con la sua Fondazione Livestrong.

Una centrifuga di informazioni, tutte filtrate dalle parole di Armstrong, che ci regala ben poche novità e contemporaneamente riapre tante ferite mai rimarginate del tutto nel cuore di molti tifosi. Speriamo sia la parola fine di un personaggio sui generis del ciclismo moderno.

Rimbomba infine una delle frasi di apertura della pellicola “O ti unisci al club (prendendo doping, ndr) o te ne torni a studiare all’università e vivi la tua vita”. Ecco forse Lance avrebbe fatto un favore a tutti tornando a studiare.

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