Sì, con Cristo possiamo fare miracoli

I lettura: 2Re 4,42-44;

II lettura: Efesini 4,1-6;

Vangelo: Giovanni 6,1-15

Tempo di ferie questo (almeno per chi le può fare). Diritto più che giustificato per chi lavora tutto l’anno dalla mattina alla sera. Dio però non va mai in ferie, e Gesù Cristo nemmeno: “Il Padre mio opera sempre – afferma nel vangelo di Giovanni (5,17) – e io opero con lui”. Di fonte alle attese e alle miserie degli uomini non può permettersi di riposare. Ne abbiamo avuto diverse prove nei brani evangelici di queste Domeniche: è sensibile, sempre disponibile Gesù Cristo. Sensibile di fronte a una donna che gli tocca l’orlo del mantello per essere guarita. Sensibile nei confronti di un papà disperato perché la sua bambina sta morendo. Sensibile nei riguardi degli apostoli che tornano stanchi dalla missione: “Venite in disparte e riposatevi un po’”. E si commuove di fronte alle folle che lo seguono perché si tratta di povera gente: pecore senza pastore. Si commuove anche perché hanno fame e non sopporta che vengano meno per strada. No, Gesù Cristo non va in ferie, non chiude gli occhi o il cuore di fronte alle attese degli uomini, mai: né allora né oggi.

Come farà a rispondere alle attese di oggi? Alla fame che attanaglia intere moltitudini? Dove lo trova il pane? Perché quando si parla di fame e di pane non si allude solo allo stomaco: fame è la somma di tutte le attese urgenti d’ogni persona e pane è sinonimo di ciò che risponde a quelle attese. Fame è l’esperienza di troppi Paesi condannati a un impoverimento progressivo, di troppe famiglie che si ritrovano sul lastrico per mancanza di lavoro, di intere popolazioni che fuggono da dittature oppressive o da regimi di persecuzione… Ma fame è anche quell’inquietudine subdola che dilaga nei nostri Paesi del cosiddetto benessere: il bisogno di dare un senso alla vita, che rode nell’intimo di molti giovani e adulti (fame che cercano troppo spesso di placare ingozzandosi di surrogati che riempiono ma non saziano); fame è il bisogno di fiducia, di sicurezza, di sentirsi accolti anziché rifiutati o esclusi; fame è la necessità di essere riconosciuti, stimati, amati in una parola. Come farà Cristo a rispondere a queste variegate manifestazioni di fame? “Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?”. Gli apostoli erano persone come noi, dotati di senso pratico, perciò trovarono una soluzione “pulita” che gli consentisse di non sporcarsi le mani: “Congèdali…”, cioè: mandali via (leggiamo nei vangeli sinottici), che s’arrangino”…

Eh, insomma, che c’entriamo noi con i problemi del Terzo Mondo? Con le popolazioni che scappano dall’oppressione? Cosa possiamo fare noi se i giovani si stordiscono o si drogano? Se quella coppia non riesce più a stare assieme? Se quell’anziano si chiude sempre più nel suo guscio? Che ci possiamo fare?

“Congèdali, Signore: che s’arrangino!”. Già, ecco le soluzioni di certo buon senso. Solo che Cristo non le condivide affatto e dice: “Voi stessi date loro da mangiare” (Mt 14, 16).

Ma come possiamo fare noi? “C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci, ma cos’è questo per tanta gente?”. Pani d’orzo, del resto, cioè cibo da poveri. Ma io non credo che quel ragazzo fosse l’unico ad avere con sé qualcosa da mangiare, però era un ragazzo: non aveva la malizia di nascondere quel poco che s’era portato appresso. Poco, certamente, e gli sputasentenze non si trattengono dal farlo notare: “Cos’è mai questo poco per così tanta gente?”.

Ma Gesù Cristo non è qui per niente. Quando affermiamo che è presente in mezzo a noi proprio in questo mondo d’oggi, non è una solenne sparata che facciamo: è presente davvero, con tutta la sua forza di risorto. È lui in fondo il pane vero (ce lo ricorderà nelle prossime domeniche), è lui il primo che si dona, che si fa pane. E in sintonia con lui – e sui suoi passi – il poco degli uni si somma a quello degli altri. Il nostro poco, con Cristo, si moltiplica. E ce n’è per tutti.

Certo, questo è un ambito nel quale la nostra abituale aritmetica non funziona più: in aritmetica, più una cosa si divide, si spartisce, e meno ce n’è… Con Cristo accade esattamente il contrario: più si divide e più si moltiplica: “…riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo avanzati”. Il miracolo – se di miracolo si tratta – non va attribuito unicamente alla potenza di Cristo: questa, infatti, non viene mai meno. Lui è sempre tra noi. Ma quella potenza non “scatta” fin quando noi non gli mettiamo a disposizione quel poco che abbiamo e che siamo. Ecco l’altro risvolto del miracolo. Credo che i tempi in cui viviamo, e quelli del prossimo futuro che incombe, ci riservano molte occasioni per partecipare a questo miracolo. Si tratterà di spartire in molte più fette la torta del benessere di cui godiamo, e sarebbe molto più dignitoso farlo di nostra spontanea volontà – cioè per amore – anziché sotto costrizione. Perché, allora, non iniziare subito il tirocinio della disponibilità con qualche gesto quotidiano, nelle occasioni più normali e semplici? È uno stile di vita cui educarsi, non viene da sé. Solo allora il pane basterà per tutti. Anche per noi.

Sì, riconosciamolo: con Cristo noi possiamo fare miracoli. Egli è qui, in questo mondo d’oggi, con la sua potenza di risorto. Attende quei cinque pani e due pesci che ognuno può mettergli a disposizione. È allora che avviene il miracolo. Solo allora.

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