Ti scrivo per un quesito sorto sulle situazione delle parrocchie, riguardante i timori e i dubbi che nascono davanti ai grandi cambiamenti del nostro tempo. All'arrivo nei nostri paesi di alcuni richiedenti asilo, molte persone rispondono con il rigetto e la paura. Meraviglia che anche molti cristiani, magari attivi nella vita parrocchiale, abbiano questi sentimenti: si teme l'invasione islamica, la perdita di identità. Sebbene il magistero di Papa Francesco sia chiarissimo in merito, i fedeli sono restii a metterlo in pratica. Cosa ne pensi?
Maurizio
Grazie per la domanda che mi consente di proporre una riflessione su uno dei principali temi dirimenti di questa epoca in cui siamo chiamati a vivere. Il fenomeno migratorio mette in discussione la nostra comune umanità, il nostro grado di civiltà sociale e politica, la fede cristiana che vogliamo professare. Di fronte a queste persone migranti che bussano alla nostra porta è in gioco per davvero la nostra identità. Ma all’opposto di quello propagandato da certa stampa e da certi partiti: è in gioco l’idea di un’Italia aperta, tollerante, solidale, ricca di valori.
Si cercano mille giustificazioni per respingere quanti non hanno altra colpa se non inseguire una vita migliore per se stessi e per i propri figli. In realtà, vista la denatalità impossibile da arginare, saranno questi “nuovi italiani” a salvarci, a mantenere il nostro benessere. Altrimenti tra vent’anni chi curerà gli anziani e i malati? Chi abiterà paesi sempre più vuoti? Già da ora gli immigrati contribuiscono con una quota significativa (nei fatti indispensabile) alle pensioni recepite dagli italiani, non dai loro padri che invece sono stati depredati da noi. Si dice che bisogna rispettare le paure altrui, che uno Stato ha il compito precipuo di garantire la sicurezza. Ma che dire quando l’odio viene istigato a tavolino, quando si esacerbano i toni e si moltiplicano gli insulti verso questi fratelli che hanno bisogno? No, questo è il momento della decisione. Della scelta di campo in favore dell’accoglienza. L’Italia non è capace di dare una patria neppure a chi è nato qui e adesso ha 18 anni! Come facciamo a progettare un futuro anche per i nostri giovani?
Parlando della posizione della Chiesa cattolica in merito, qualcuno accusa il Papa di “fare politica”, di essere un “populista sud americano” addirittura “terzomondista” se non direttamente “comunista”. Ma lasciamo stare Francesco perché ci vorrebbe un’enciclopedia per riportare tutti i suoi pronunciamenti sul tema, sull’impellente dovere di soccorrere e abbracciare la “carne di Cristo”, che sono i poveri. Lasciamo stare anche il nostro Vescovo Lauro che, oltre ad aver offerto alcune strutture diocesane per l’accoglienza, in ogni suo incontro predica la necessità dell’apertura cristiana e umana verso i migranti.
Mi vorrei riferire a un recente documento dei vescovi liguri intitolato “Migranti, segno di Dio”, pubblicato il 17 maggio scorso. I vescovi, guidati dal cardinale Bagnasco, non hanno paura di dire la verità. Parlano di un fenomeno di “natura epocale” ma “trattato superficialmente” con pregiudizi “intenzionalmente” costruiti, di fenomeni storici (come l’emigrazione italiana) “volutamente ignorati”. E ancora: “I mezzi di comunicazione sono soliti prendere in considerazione il problema dei rifugiati solo nel momento in cui questi chiedono protezione nel nostro territorio, di contro è totalmente ignorato il percorso precedente”. Va denunciato un “peccato di smemoratezza” che dimentica le ragioni di questo flusso. Le sappiamo tutti: guerra, povertà, sfruttamento di uomini e risorse naturali, crisi ambientale, conflitti, terrorismo. I vescovi però compiono un passo in più suggerendo un parallelo tra le difficoltà che vivono nelle loro terre i migranti e i meccanismi che creano situazioni disagio anche per i giovani italiani. È inutile “una guerra tra poveri” perché le questioni da risolvere sono globali. Invece di gridare uno sciocco, illusorio e pericoloso “prima gli italiani” bisognerebbe compiere scelte legislative in grado di “superare la distinzione di trattamento di profughi politici e di profughi economici”. Norme che sanciscano il “diritto alla cittadinanza” (togliendo il reato di clandestinità) da cui solo può scaturire quel “dovere di collaborazione” richiesto ai nuovi arrivati. Infine la considerazione decisiva: “Rivendicare il diritto inalienabile dell’umanità a migrare significa riconoscere che ogni uomo è cittadino del mondo e ha potestà di muoversi per trovare una migliore condizione di vita per sé e la propria famiglia”.
Troppa politica? Troppa sociologia? Non si può avere un’opinione diversa? Qualcuno potrebbe obbiettare questo in nome di un’altra prospettiva culturale. Sicuramente ognuno è libero di pensare quello che vuole. Tuttavia deve rigettare non le intenzioni dei vescovi, ma le parole di Gesù: “Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,37-40). Davvero chi ha orecchi per intendere, intenda.
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