E' potuto assurgere a segno di unità ecumenica, non facendo teologia, ma amando i poveri
La beatificazione di Oscar Romero, avvenuta il 23 maggio scorso, è stata un evento della Chiesa universale perché la figura del vescovo salvadoregno appartiene ormai alla Chiesa universale. Direi che Romero è il Santo icona del cristianesimo del 21º secolo, un secolo in cui la fede può vivere soltanto grazie ai martiri. Un paradosso se pensiamo che Romero visse interamente nel secolo precedente, ed fu ucciso anche a causa delle dinamiche politiche della guerra fredda. Tuttavia l’arcivescovo di San Salvador incarna tre parole ineludibili per il tempo presente: martirio, poveri, liberazione.
Non è un caso che, mentre nella capitale salvadoregna si celebrava la beatificazione di Romero, la Chiesa italiana pregasse per i cristiani perseguitati in tutto il mondo. Il martirio continua. Certamente bisogna distinguere le ragioni politiche ed economiche da quelle religiose che generano massacri indiscriminati, ma la vicenda di Romero ci dice che il cristiano deve denunciare una gestione del potere, una sete di potere, che produce soltanto morte. Come ha ricordato il postulatore della causa di beatificazione, monsignor Vincenzo Paglia, la chiesa del Salvador ha subito persecuzioni (da parte di un regime formalmente difensore della religione cattolica), sanguinose repressioni da parte di chi, in sostanza “in odio della fede”, non esitava a calpestare ogni valore cristiano e umano, solo per mantenere il proprio potere.
Oggi molti martiri, dalla Siria alla Cina all’America Latina, sono anonimi. Come erano anonimi i contadini poveri del Salvador di cui Romero era diventato la voce. In seguito all’uccisione di padre Rutilio Grande e di due campesinos, avvenuta il 12 marzo 1977, Romero cambia quasi carattere, si “converte”: da persona schiva e accomodante diventa, sempre utilizzando le parole dell’arcivescovo Paglia, “un pastore forte”, dimostrando che “non è pesante essere un buon pastore”, capace di assumere “una responsabilità pubblica… Per illuminare la politica del paese”. Romero è andato incontro consapevolmente al martirio dicendo spesso, a chi gli stava vicino, di non voler provare rancore verso nessuno, ma di andare avanti fino alla fine.
A volte sembra che la donazione della vita non serva a nulla. Dopo l’uccisione di Romero, avvenuta il 24 marzo 1980, la guerra civile è scoppiata in maniera violentissima. Così si potrebbe dire per il nostro padre Mario Borzaga: il suo sacrificio non ha garantito gloria e successo alla Chiesa vietnamita, ma persecuzioni che non sono ancora terminate. Eppure, come ha detto nell’omelia della messa per Romero, il cardinale Angelo Amato ha notato che “i persecutori sono spariti nell’ombra dell’oblio”, mentre i martiri, gli sconfitti di allora, le vittime sono ricordati da tutti.
Romero diventa simbolo di concordia, bontà e mitezza, diventa un “testimone eroico del Regno di Dio”, venerato da tutte le confessioni cristiane. “Sacerdote buono, pastore saggio, uomo virtuoso”, Romero è potuto assurgere a segno di unità ecumenica, non facendo teologia, ma amando i poveri. Per questo è andato controcorrente quarant’anni fa, assumendo le vesti del profeta per il mondo contemporaneo. Oggi la sfida della pace e dell’uguaglianza è ineludibile. Romero anticipa Papa Francesco che vede nei poveri “La carne di Cristo”. I poveri sono concreti, l’opzione preferenziale per i poveri non è un’astrazione: i poveri sono i migranti che non sono voluti da nessuno, i profughi che fuggono dalla guerra, i barboni scacciati da tutti, il vicino di casa chiuso nella solitudine, gli anziani dimenticati nelle case di riposo, i campesinos di Romero. Sappiamo quanto difficile è accogliere e amare queste persone. Ma il mondo si salva soltanto se riesce a coltivare e diffondere il sentimento della fraternità umana. San Romero raggiunge anche chi non è credente, è una ricchezza per l’umanità (ancora secondo la riflessione del cardinale Amato).
La figura dell’arcivescovo martire richiama la parola “liberazione”, così cara ai cristiani sudamericani. Romero propugna una liberazione ispirata dalla fede, non da qualche ideologia umana, un tempo marxista oggi individualista: Gesù Cristo ci chiama a essere liberi perché, aprendoci e donandoci agli altri e a Dio, scopriamo di essere già stati perdonati e che il mondo è già stato redento. Scopriamo che l’amore è possibile e che vince qualsiasi nemico.
La santificazione di Romero è una festa di gioia e di fratellanza. Perché, come soleva dire Monsenor, “Il cielo deve iniziare qui sulla terra”.
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