“L’ ho letto da qualche parte sui social”. È una delle frasi che sentiamo più spesso. Talvolta la usiamo anche noi, fornendo un’indicazione che vorremmo precisa, ma al tempo stesso ammantandola di indeterminatezza. Del resto, proprio i “social media” sono ciò che definiscono questa nostra epoca dove tutti possono condividere tutto (testi, foto, video, articoli) e tutti possono vederli, commentarli, condividerli a propria volta. Siamo tutti interconnessi e non c’è realtà associativa che non si ponga il problema di “essere presente sui social”. Si dice social, genericamente, dimenticando che dietro ad un’unica definizione ci sono però strumenti diversi, certamente non uguali per utilizzo, format del messaggio, destinatari.
Il sociologo McLuhan, negli anni Sessanta del secolo scorso, quando alla carta stampata si erano aggiunte radio e televisione, aveva detto che “il medium è il messaggio”. In sostanza, non conta solo il contenuto, ma anche le modalità con cui viene trasmesso: la stessa notizia – per capirci – ha un impatto diverso se la leggiamo sul giornale, se la sentiamo alla radio o la vediamo alla televisione. Parlare di “social” in termini generali ha dunque poco senso: Facebook non è Instagram (anche se portano profitto allo stesso padrone), Twitter non è Tik Tok, LinkedIn ha utenti molto diversi da quelli di Snapchat. Senza dimenticare WhatsApp (che non è solo un’applicazione di messaggistica, ma è ormai ritenuto un social network a tutti gli effetti) e Telegram (che è il “cugino” di WhatsApp, ma più strutturato per una messaggistica massificata e, soprattutto, con funzioni che ne fanno lo strumento più adatto alla propaganda).
Ogni social ha la propria fisionomia, la propria caratteristica, la propria specificità: in altre parole, la propria funzione. Che è strettamente collegata alla tipologia degli utenti, di chi pubblica e di chi legge. Facebook è il più diffuso, ma anche il più controverso perché i messaggi (i “post”) che ciascuno vede sul proprio smartphone (lo strumento più usato per questo tipo di azione) non appaiono in modo casuale o secondo il criterio cronologico, ma secondo un criterio stabilito da un algoritmo per ogni utente, a seconda dei suoi gusti, delle sue idee, della capacità di essere coinvolto. Dietro alle scelte dell’intelligenza artificiale – le funzioni matematiche dell’algoritmo – c’è la volontà di assecondare ciascuna persona, di offrirgli le cose che più gli piacciono: ogni utente viene “coccolato” con una sequenza dei post che è programmata per coinvolgerlo e per renderlo partecipe (con i “mi piace” e i commenti ai post degli altri). Tutto questo, ovviamente, ha una funzione ben precisa: rendere sempre più calibrato, e dunque più efficace, il messaggio pubblicitario che muove l’intero sistema.
Samantha Cristoforetti, che i social li usa anche dallo spazio, il 10 aprile di quattro anni fa ha lasciato Facebook con un post: “Non mi è ancora chiaro fino a che punto questa piattaforma sia suscettibile di uso improprio e fino a che punto questo abuso sia dannoso per gli individui e le società aperte”. Questione dirimente per la reputazione di un social network e che è letteralmente esplosa negli ultimi mesi mettendo sotto accusa il gioiello di Mark Zuckerberg che ha pensato bene anche di cambiare il nome della sua società: non più Facebook, ma Meta. Anche per definire meglio l’obiettivo dei prossimi anni: il metaverso. Parola ancora misteriosa, ma che presto entrerà sicuramente nella nostra vita.
Samantha Cristoforetti dalla stazione spaziale continua a comunicare con Tik Tok, il social dei più giovani: video brevissimi (massimo 20 secondi), poche parole, qualche scritta, tanta musica. Messaggi immediati, spesso incredibilmente semplici (e banali) come quelli di Khaby Lame, un giovane di Chivasso rimasto disoccupato durante il lockdown. Si è consolato con Tik Tok e oggi è il profilo più seguito al mondo: oltre 140 milioni di follower. Ma questa è una storia tutta da raccontare anche perché, solo in virtù di questo record, il Ministero degli Interni si è accorto di lui e ha deciso di riconoscergli, dopo anni di inutile attesa, la cittadinanza italiana. Potenza di Tik Tok.
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